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(Ep2: un film anni '50)
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     L'Attacco dei Titoli


     Che dire dei titoli stessi? The Phantom Menace e Attack of the Clones, per ammissione ufficiale, rimandano ai fumetti d'epoca e agli spettacoli che il giovane Lucas amava guardare in TV. Citiamo il misconosciuto serial del 1935 The Phantom Empire, antecedente di Flash Gordon.
Ma menzioniamo anche la serie di romanzi The Phantom Detective, fonte certa di un generoso saccheggio di vocaboli pittoreschi riciclati nei titoli delle opere di Lucas, come The Phantom Strikes Back, Crimson Harvest (cfr. Blue Harvest, titolo fittizio dietro cui si nascose la troupe di ROTJ nel 1982), Torch of Doom (cfr. Indiana Jones and the Temple of Doom), The Radio Murders (cfr. Radioland Murders, una prova schiacciante del ricorso ai titoli di questa serie) e The Scarlet Menace.
     Si arriva al punto che i titoli dei film di Star Wars (e non solo) si possono ottenere per semplice ricombinazione dei titoli di questi modelli, e in particolare di questa serie di fumetti, che —siamo pronti a scommetterci— trova posto nella ricca collezione privata di Lucas.
     Questo accadeva già con la Trilogia Classica, ma con Ep2 si ha una svolta, grazie all'impego della locuzione "Attack of the", omaggio ironico e spudorato ai titoli dei b-movie fantastici (soprattutto di mostri), un genere ben contestualizzato negli anni '50 in particolare.

     "It harkens back to the sense of pure fun, imagination and excitement that characterized the classic movie serials and pulp space fantasy adventures that inspired the Star Wars saga", recitava il sito ufficiale il 6 agosto 2001 annunciando il titolo di Ep2.
     Cercando su Internet "Attack of the" e facendo escludere la parola "Clones" (dunque i siti che parlano di Ep2), si ricevono comunque in risposta 200.000 pagine, piene di titoli e parodie, a testimoniare la fortuna di quella locuzione, entrata in uso a indicare scherzosamente, più o meno in senso figurato, l'"invasione" di qualcosa.

tre film "Attack" del 1957, 1958 e 1959




     L'Arte dell'allusione III: il cinema che ritorna


     Facendo un passo indietro verso Episodio I, ci accorgiamo che vi si trovano già evidenti tracce del recupero del cinema anni '50. La minaccia fantasma metabolizza e reinventa nella trama del suo tessuto narrativo, irto come tutti i film di Star Wars di rimandi eterogenei, stralci importanti di Ben Hur, il colossal del 1959.
     Il più evidente e celebrato è la corsa dei pod, figlia della corsa delle bighe in cui duellano Ben Hur e Messalla: il loro confronto ispira la rivalità tra il piccolo Anakin e la sua nemesi Sebulba, il quale, come Messalla, elimina tutti gli avversari ricorrendo a trucchi scorretti.
     Anche la foggia degli stessi pod (sgusci, nella traduzione italiana) richiama apertamente quella di una biga con due cavalli aggiogati, sostituiti con due propulsori jet, e le briglie.




     Si ipotizzano pure debiti più sottili, come l'aver mutuato il discorso dell'Imperatore Palpatine a Luke in ROTJ ("Bene, percepisco la tua ira... Il tuo odio ti ha fatto potente...") da un analogo discorso a favore dell'odio pronunciato da Messalla: "I tuoi occhi sono pieni di odio, è un bene. L'odio mantiene vivo l'uomo, gli dà forza".

     Ma non finisce qui: il personaggio di Watto è stato quasi interamente ricalcato su quello di Sheik Ilderim, l'arabo basso, tarchiato e intrigante che sponsorizza Ben Hur nella corsa, facendolo gareggiare con i suoi pregiati cavalli bianchi —l'equivalente del podracer di Watto— e scommettendo su di lui, in maniera speculare al suo erede toydariano, che alla fine scommette su Sebulba e non su Anakin.

     Ci si è spinti fino a scolpire i tratti del personaggio creato al computer su quelli di Hugh Griffith, l'attore che interpretò la parte di Sheik, e di mutuarne anche la parlata con forte accento levantino (grazie al brillante doppiaggio di Andy Secombe nella versione originale e degli altri doppiatori nelle varie lingue).




     Infine la parata finale a Theed si richiama da vicino alla pompa magna vista proprio in Ben Hur, con tanto di cittadini festanti, bandiere, cesti di fiori e petali che piovono. Ma l'identità è molto forte anche con una scena de La caduta dell'Impero Romano (a sinistra), 1964, di Anthony Mann (dove tra l'altro Alec "Obi-Wan" Guinness interpretava Marco Aurelio (2) ).



     Un altro film dei gloriosi anni '50 pesantemente saccheggiato (ricorre più volte in questa nostra carrellata sui "ripescaggi" del cinema lucasiano) è Il pianeta proibito, 1956, pietra miliare dotata ancora oggi del suo fascino originario, assolutamente intatto.
     Il generatore degli hangar di Theed ne La minaccia fantasma, dove di svolge il duello tra Maul, Qui-Gon e Obi-Wan, sembra una rievocazione della inquietante città dell'antichissima razza dei Krell: i ponti sospesi, le piattaforme circolari e i fasci di energia parlano chiaro.

     In un'altra scena un mostro di energia passa attraverso lo spesso metallo di una porta krell fondendolo, proprio come fa Qui-Gon grazie alla spada laser sulla nave della Federazione: si tratta, come nel caso dei Mercanti, di portali sovrapposti che si chiudono in varie direzioni.



     Alla fine del film, il disabitato pianeta Altair 4, sul quale la giovane Altaira è nata, viene distrutto dal comando di autodistruzione attivato dal padre Morbius prima di morire. La ragazza sulla nave spaziale assiste alla fine del pianeta a distanza, su uno schermo, e si dispera. Inutile sottolineare quanto l'analoga scena di A New Hope sia ispirata a questa, benché la sua drammaticità sia incomparabilmente maggiore: Alderaan viene distrutto davanti agli occhi di Leia con l'inganno dal malvagio Tarkin e muoiono il padre di lei e milioni di abitanti, mentre la scena de Il pianeta proibito è solo un epilogo a fine film, quando l'apice narrativo è giù sfumato. Tuttavia l'omaggio resta.



     Infine una citazione clamorosa e altamente evocativa balza agli occhi di qualunque spettatore con evidenza assoluta: la scena dell'ologramma di Leia proiettato da R2-D2 in A New Hope discende da quella de Il pianeta proibito in cui Morbius usa un macchinario krell per proiettare con la mente un ologramma della figlia. Da parte di Lucas, un omaggio che potremmo definire "devoto".


     Che si trattasse di mostri mitologici o fantascientifici, di film che dagli anni '50 guardavano al passato sotto il segno del peplum o al futuro della sci-fi, sempre Lucas era là a osservare, incamerare idee, sogni e suggestioni, per poi reincarnarli più tardi nel suo universo fantastico dal febbrile sincretismo, melting pot definitivo delle memorie del '900 e, attraverso di esse, di ogni mito antico. Uno smalto ruggente, una voglia di reinventare che il Lucas del 2000 non ha perso nonostante tutto. Ed è solo in Episodio II che quel fenomeno di recupero di una certa epoca raggiunge il suo apice: lo abbiamo mostrato parlando del design, poiché l'estetica di questo film in particolare rivela la propria matrice con evidenza addirittura disarmante, del tutto estranea ad esempio alla Trilogia Classica; in essa solo momenti isolati rimandavano palesemente a spunti di metà '900 (si è visto qui sopra), e di certo non l'estetica, tutta squadrata e industriale, futuribile e maestosa. La Trilogia si limitava a citare gli anni '40/'50, Ep2 addirittura "si veste" di essi.
     Con i Prequel, specie il secondo film, il regista torna letteralmente al passato sia nella finzione scenica della saga sia nelle fonti cui attingere l'estetica, il ritmo e le visioni del suo cinema. Allora si trattò di coniugare lo spazio profondo con i miti antichi; oggi tutto converge a metà strada, nel calderone del futuribile e del "contemporaneo", nel bazar del modernariato estetico e narrativo del secolo XX, dei suoi oggetti, dei suoi film, delle sue visioni. Sicché il mondo della giovinezza del creativo di Modesto riaffiora fantasmizzato nella cattedrale pop del cinema digitale con una prepotenza prima inedita.

     Episodio II, se non altro, è un gioco, un grande gioco allusivo, una sorta di "carro allegorico" ovvero Trionfo petrarchesco —absit iniuria verbis— che mette in scena per la prima volta in maniera completa e compatta l'immaginario del giovane Lucas, sogni e ricordi coagulati e resi arte; forse arte con la a minuscola, ma pur sempre arte.
     Sotto questo aspetto, più di ogni altro, assume valore e dignità il film Ep2. Il dibatitto sul suo valore artistico oggettivo resta aperto, e se avrete ancora la pazienza di seguirci nella conclusione di questa indagine scenderemo sul piano tecnico per domandarci se da parte del regista vi sia stato l'intento di rendere il film volutamente antiquato, a costo di mettere a repentaglio il gradimento del pubblico.


(segue)
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     Note:

(2) Il film ha ispirato a sua volta il già citato Il Gladiatore di Ridley Scott, chiamato in causa per Ep2 per l'arena di Geonosis (almeno per la carrellata che mostra gli spalti dal punto di vista dei morituri che vi stanno entrando, mentre poi la scena in sé abbiamo detto essere piuttosto un omaggio a Harryhausen), e condivide la sua fonte ispiratrice —il celeberrimo libro del Gibbon La decadenza dell'Impero romano, opera storiografica di fine '700— con Cronache della Galassia, 1945 (pubbl. 1955) di Isaac Asimov, dal ciclo della Fondazione, nel quale si descrive un Impero in decadenza e il suo pianeta-città capitale Trantor, principale fonte ispiratrice della Coruscant di Star Wars, passando per Metropolis e Blade Runner dello stesso Ridley Scott, in un gioco di riscritture, concatenazioni e incastri che sembra non avere fine...





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