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Le lacrime del carnefice

di Paola N. Cillario


     Appartengo a quella piccola schiera di vecchi fans di Star Wars che si è sommessamente e pudicamente commossa in una delle scene, a mio avviso, più toccanti e intense di tutto questo ultimo bel film della saga. Quella dove appunto il neonato carnefice perviene a splendida autocoscienza della propria incommensurabile caduta e, con un coup de theatre degno della migliore tradizione tragica, piange sul suo terribile destino.

     Del perché le nostre lacrime si siano mescolate a quelle vaderiane tenterò qui di dare una spiegazione plausibile.

     Occorre però a questo proposito compiere una sorta di breve retrospettiva sociologica e tornare a quel lontano 1977 quando noi, allora giovani e giovanissimi spettatori di Guerre Stellari, facemmo conoscenza con l'universo starwasiano e con un sinistro figuro di nero vestito che rispondeva al nome un po' bizzarro (e foneticamente italianizzato) di Dart Fener.
     L'incontro fu assolutamente elettrizzante, dal momento che ci eravamo appena imbattuti in un'icona del male, in un cattivo all'ennesima potenza, anzi in quel personaggio che sarebbe divenuto per eccellenza e per antonomasia, da allora in poi e nel nostro lessico quotidiano, sinonimo di efferata crudeltà. Il personaggio in questione appariva celato dietro a una maschera terribile, minacciosa, impenetrabile, corredato da una voce e da un respiro inquietanti, paludato in un abito-armatura lugubre ed evocante qualcosa di antico e di ancor più sinistro e le cui azioni infine erano una summa di malvagità a tutto tondo.

     Non sapevamo o non avevamo capito neppure troppo bene "chi" o "cosa" fosse realmente lo spietato Fener, da dove venisse, che volesse, perché agisse così, che tipo di legami potesse mai avere con quello che ritenevamo allora essere a buon diritto il vero eroe della vicenda, cioè Luke.
     Nel nostro immaginario giovanile questa specie di "incubo nero" della galassia fu confinato al ruolo importante ma, di fatto, secondario di semplice deuteragonista, sviati come fummo soprattutto dalle scarne e non troppo sincere spiegazioni fornite al riguardo dal saggio Obi-Wan Kenobi.
     Non sospettavamo neanche lontanamente che di questa funerea belva avremmo sentito riparlare ancora per molto tempo e che proprio Fener, in definitiva, sarebbe divenuto il vero, unico, incontrastato protagonista della saga. Eravamo, come si dice, lontani anni luce dal poterlo prevedere.

     A dire il vero nel '77 non si sapeva neppure bene se questo incredibile film che avevamo appena visto e che ci aveva tanto potentemente conquistati avrebbe mai avuto un seguito.
     Lo speravamo, questo sì, dato il successo mondiale che ne seguì. Volevamo vederne ancora di queste epiche avventure spaziali per carpirne un po' meglio tutti i significati reconditi. Volevamo che ci fosse chiarito meglio il senso di concetti avvincenti ma piuttosto nebulosi come la Forza o il misterioso Lato Oscuro a cui appunto il malvagio Lord si era votato. Volevamo un seguito alle avventure di Luke e compagni.
     Ma ricordo anche con precisione che nelle nostre interminabili discussioni di fans ci si chiedeva quale fine avesse mai fatto quell'odioso ma possente personaggio, se si fosse per sempre perduto nello spazio infinito con il suo caccia (e nei meandri della fantasia di Lucas) o se lo avremmo mai reincontrato e un po' meglio conosciuto.
     Il resto è storia arcinota. All'amatissimo Guerre Stellari, rinominato soltanto successivamente Ep. IV, seguirono nel giro di sei anni gli strepitosi episodi V e VI attraverso cui il mondo dei fans, il nostro mondo, si appropriò con avidità e con maggiore consapevolezza di tutto quel complicato e straordinario universo. Comprendemmo gli intricati legami di parentela fra Luke, Leia e Vader/Fener. Penetrammo le losche trame dell'Imperatore per asseverare un altro Skywalker. Cercammo di addentrarci un po' meglio nei significati più intimi degli insegnamenti impartiti da Obi-Wan e dal magnifico Yoda al loro ultimo allievo jedi. Intendemmo anche che il Bene nella sua linea vincente a volte persegue strade tortuose per giungere ad affermarsi e ci emozionammo non poco di fronte alla redenzione dell'ormai ex feroce Lord.
     Potevamo ritenerci ragionevolmente soddisfatti che l'autore di questa nuova epopea avesse portato a termine la prima e già leggendaria Trilogia, se non fosse che sotterraneamente percepivamo la necessità di colmare ancora delle lacune. Se Lucas aveva deciso di iniziare a raccontare una vicenda talmente affascinante da incantare milioni di persone nel mondo e nel corso degli anni iniziando curiosamente da un capitolo centrale di essa, ora, a nostro giudizio, era di fatto obbligato a fornire non un seguito della storia ma un vero e proprio incipit di essa come giusto completamento.
     Ci doveva i famosi primi tre capitoli della saga che, non fosse altro per pura logica aritmetica, devono precedere il glorioso quarto da cui tutto principia.
     Con le integrazioni di queste sezioni mancanti il pubblico avrebbe finalmente capito come, quando e perché la tragedia di quella galassia aveva avuto inizio e cosa mai avesse potuto scatenare nel bravo jedi Anakin Skywalker la decisione estrema di votarsi per tanti anni all'esercizio della malvagità, riducendosi a divenire un Signore Oscuro dei Sith, schiavo dell'Imperatore, fino al catartico ritrovamento del sé profondo e all'ovvio trionfo del Bene.
     Il seguito è risaputo: gli anni passarono e non accadde più nulla a livello filmico starwarsiano. Di Lord Vader, di quella galassia lontana lontana, per tanto tempo si persero le tracce.
     Gli irriducibili, i meno rassegnati fra noi a quella che per anni sembrò la fine ineluttabile di quel magnifico mondo, si aggrapparono alla scoperta e allo studio del cosiddetto Universo Espanso, alla letteratura, ai fumetti, al collezionismo, alle varie riedizioni della trilogia classica e ai videogames, senza mai perdere le speranze che prima o poi l'opera lucasiana sarebbe stata completata. Non solo. Singolarmente la saga starwarsiana continuò nel tempo a convertire adepti di ogni età, ad appassionare sempre nuovi spettatori, alcuni venuti al mondo ben dopo quel 1977.

     Nacque infine, ed è storia recente, la seconda trilogia – la poco amata, anzi la molto vituperata Nuova Trilogia, i cui primi due capitoli continuano a non piacere ai puristi e ai nostalgici - ma che, al contrario, andrebbe proprio riconsiderata sulla base del discorso fin qui sostenuto. Vale a dire quello del bisogno di comprendere e collegare ogni retroscena, ogni particolare, ogni indizio, per poter finalmente ricomporre il puzzle, bisogno che solo ora, a esalogia ultimata, possiamo dire del tutto soddisfatto.
     Non fosse altro che per questo motivo sono gratissima a Lucas di aver concluso il suo ciclo mitologico. Dopo aver pazientemente atteso per quasi trent'anni che l'arazzo si completasse definitivamente, oggi possiamo dirci accontentati. Il cerchio si è chiuso per davvero e ora non manca più nulla.
     Chiaro che con l'episodio conclusivo dell'esalogia nuovi dubbi, nuove domande, nuove supposizioni si siano insinuate nel mondo degli appassionati. Anzi credo proprio che la forza di questa saga risieda anche nella sua capacità di alimentare sempre nuovi interrogativi fra gli estimatori. Altrettanto evidente che le due parti di cui l'epopea si compone, ineluttabilmente diverse per stile e per realizzazione, non siano scevre da difetti, da amabili incongruenze talvolta anche macroscopiche, che sarebbe appunto inverosimile non riconoscere.
     Ma ciò che conta in definitiva è che a tutt'oggi la storia di Anakin Skywalker, alias Darth Vader, sia davvero irrevocabilmente compiuta, con buona pace per tutti.

     Di lui, di quel misterioso, affascinante e terribile personaggio in nero del '77 che tanto ci soggiogò, oggi conosciamo pressoché ogni retroscena biografico.

     Lucas ci ha descritto la sua infanzia in primo luogo, triste, infelice e negata come può essere solo quella di un bambino nato in schiavitù. Ci ha parlato del suo legame profondo con la madre, unico referente parentale, nonché unico modello educativo possibile, giacché il piccolo è addirittura privo di padre biologico. Ci ha presentato le sue incontestabili e non comuni doti di bambino prodigio, che lo rendono a tratti un po' ribelle, un po' insofferente all'autorità ma anche straordinariamente simpatico. Ci ha narrato del suo altruismo, della sua lealtà, della sua generosità ma anche della sua paura e della sua sofferenza per il distacco dalla madre prima e per la morte del suo maestro subito dopo, di quella specie di "padre buono" che sarebbe sicuramente stato Qui-Gon se fosse sopravissuto. Ha voluto che intuissimo la sua troppo assidua frequentazione con quell'essere abietto e viscido che è Palpatine, che a me, fin da subito, ha emblematicamente ricordato i tratti di una sorta di laido pedofilo. Ci ha fatto conoscere e amare insomma un bel bambino, intelligente e vivace ma evidentemente cresciuto troppo in fretta e molto molto solo. Un bambino scaraventato suo malgrado in un gioco di ruolo molto più grande di lui, molto più pericoloso delle corse folli con i Podracer. Il destino cioè di chi è investito dell'enorme responsabilità di essere considerato, con molta ansia e molto timore da parte di tutti, il Prescelto della famosa Profezia, colui da cui tutti si aspettano qualcosa di grande, di straordinario, colui che, crescendo, cambierà le sorti della galassia stessa.
     E ancora Lucas ci ha mostrato il piccolo Anakin alle prese con gli austeri, dogmatici e inaffettivi Maestri jedi, saggi e potenti ma incapaci di capire e di alleviare il suo spaventoso bisogno d'amore. Un ragazzino di cui nessun jedi si fida pienamente, nemmeno colui che si è incaricato di educarlo nella veste di fratello maggiore. Quello stesso bambino infine che consola la propria solitudine pensando quotidianamente a una splendida e dolcissima ragazza incontrata nel luogo più desolato e triste possibile e mai più dimenticata e che solo per caso —e guarda caso— è anche un personaggio pubblico molto importante nonché motore immobile di tutta la vicenda.

     Noi vecchi fan, nel frattempo divenuti anche genitori, proviamo un'infinita tenerezza per questo piccolino e ci dimentichiamo chi diverrà crescendo e cosa combinerà nella galassia. Rimuoviamo del tutto la primigenia immagine spaventosa di Fener che colpì la nostra fantasia pre-puberale.
     Il gioco è fatto. Siamo pronti a parteggiare per lui, a giustificarlo, a impietosirci. Il meccanismo psicologico che si è instaurato è sottile e perverso e molto pericoloso.
     Non si possono giustificare i tremendi criminali di guerra, i boia della storia o quelli di questa saga, pensando che anche loro, un tempo, sono stati dolci e sfortunati bambini. Non si fa. Ma tant'è.

     Un bambino così non può che divenire poi un adolescente problematico, il classico ragazzo difficile da contenere nei suoi accessi di impazienza e di irruenza. Se poi a doverlo fare è un Maestro jedi mite e gentile come Obi-Wan, che di certo non difetta né in pazienza, né in serenità né in saggezza, ma a cui forse, o a noi perlomeno così sembra, manca la sensibilità o l'acutezza necessaria per capire e gestire certi stati d'animo, è proprio finita. È una guerra persa in partenza. Obi-Wan non riesce a imporre la propria autorevolezza né come guida né come adulto consapevole del proprio ruolo e il suo fallimento, la sua sconfitta educativa inizia a delinearsi.
     Il giovane padawan è simpatico, bello, intelligente ma terribilmente indisciplinato e insofferente ai rigidi dettami educativi che i cavalieri jedi da sempre impongono ai loro allievi.
     Anakin seppur bravo, svelto, acuto e coraggioso è soprattutto percepito dal coro dei jedi come ribelle e cocciuto e perciò pericoloso.
     Il ragazzo per di più è segretamente innamorato e ciò è in netto ed evidente contrasto con la prima basilare regola di comportamento di questi cavalieri-monaci. Si sa poi come, in generale, riduca il primo —e in questo caso unico— amore. Palpita, trema e si strugge per quella bellissima donna angelicata (ma non più tanto o non più come prima) che è anche anagraficamente più grande di lui e perciò più responsabile ma che lo ricambierà con dovizia. È fin troppo evidente da parte di Anakin la ricerca della figura materna. Non altrettanto cristallina risulta la posizione dei saggi Maestri che incredibilmente sembrano non accorgersi di nulla e anzi, al contrario, forniscono più di un pretesto e in più circostanze l'occasione ai due di frequentarsi assiduamente fino alla decisione estrema di sposarsi in gran segreto.
     In ogni caso siamo portati a parteggiare ancora per Anakin e per le sue scelte dal momento che quando assistiamo annichiliti alla sua tragedia personale dopo la morte della madre, tendiamo a capire, a giustificare il terribile gesto di vendetta compiuto contro i Sabbipodi.


     Sorge spontanea a questo punto una domanda. Perché Lucas ha voluto che simpatizzassimo con il "cattivo" della sua storia? O meglio: perché, se è eticamente scorretto giustificare un malvagio di questa portata, materialmente siamo indotti da Lucas al senso della pietas, della compassione verso di esso?
     Il cambiamento della cifra stilistica dell'autore è una delle risposte possibili.
     A me pare infatti che nel corso degli anni ci sia stato un progressivo spostamento di angolo visuale da parte di Lucas operato nel tentativo di umanizzare i personaggi malvagi e di disumanizzare quelli buoni. Che ciò faccia parte di un processo psicologico di personale e ovvia maturazione è abbastanza scontato. Porre l'accento sulle sfumature in cui la verità può trascolorare, mescolando indistintamente il bene e il male, fa parte di un normale percorso cognitivo del reale a cui l'autore naturalmente non si sottrae.
     Non credo tuttavia che questa spiegazione sia totalmente esaustiva. Ho l'impressione che dietro all'umanizzazione di Vader ci sia soprattutto lo sforzo, davvero straordinario, di rendere appieno la sua tragicità cosmica.
     Anakin/Vader è personaggio tragico per eccellenza che cresce nel suo profilo psicologico e simbolico svettando su tutti gli altri, persino sullo strepitoso e sfuggente Palpatine, la cui malvagità totale è però assolutamente prevedibile.
     Il pessimismo obbligatorio dell'Ep.III dove vediamo Anakin ormai divenuto adulto, straordinario cavaliere jedi, grande e astuto guerriero, futuro padre, nonché di lì a breve il più crudele, potente ed efferato criminale della galassia, non può che portare in questa direzione. Poiché lo spettatore sa già esattamente cosa accadrà a quell'angelico bambino, a quel simpatico ragazzone, a Lucas non è rimasta altra scelta che operare un raffinato transfert fra il suo pubblico e il suo personaggio, al fine di rendere quest'ultimo indimenticabile e soprattutto credibile. Con ciò intendo sottolineare quanto notevole sia stata la valutazione registica di non scadere nell'ovvietà degli eventi.
     Far ingigantire Anakin nel suo disperato senso del possesso, nel suo famelico bisogno di sempre maggior potere in grado di governare addirittura la vita e la morte, nel suo malinteso senso d'amore fino al tracollo della ragione è stata un'intuizione geniale. Discendere agli inferi, smarrire completamente il senno e la propria umanità per un assurdo atto di presunto amore è evenienza da cui nessuno, in fondo, può dirsi totalmente protetto.
     In qualche modo lo spettatore è spiazzato proprio dalla prospettiva umana del "mostro", dalla sua paradossale "normalità" e non posso non ripensare in questo senso alle complesse sfaccettature psicologiche di due grandi eroine tragiche quali la Mirra alfieriana e la Phèdre di Racine che per amore insano, appunto, sprofondano nell'indicibile, nel mostruoso e ne restano stritolate.
     A questo proposito mi piace ricordare le parole di Francesco Orlando nel suo memorabile Lettura freudiana della Phèdre (Einaudi, 1971) quando sostiene che "un'opera non è un discorso che l'autore rivolge a se stesso, bensì un discorso rivolto ad altri" dove ciò che ha valore è appunto il "messaggio, il quale va da un destinatore e dei destinatari", secondo una traiettoria storica, sociologica, politica e psicologica che trascende l'opera stessa.


     Nello specifico il messaggio di Lucas risulta essere proprio l'esaltazione della genuina umanità del protagonista, della sua debolezza, delle sue fallaci illusioni, così ben rappresentati nell'ultimo capitolo dell'esalogia. Qui l'autore continua a incontrarsi all'infinito con destinatari che si avvicenderanno per sempre, facendo divenire tale messaggio un "fenomeno di natura sociale e storica che sorpassa letteralmente sia l'individuo del destinatore sia l'individuo del destinatario, inafferrabile perché mutevole". In ciò sta la grandezza epica del ciclo starwarsiano. La parabola di Anakin quindi assume un valore universale e paradigmatico in virtù della sua possibile eventualità.
     È infatti molto più verosimile che un essere umano si abbandoni al disperato bisogno di conservare a ogni costo i propri legami affettivi piuttosto che affidarsi alla saggia ma asettica lezione del distacco terreno da essi, impartita in questo caso da Yoda. Ed ecco spiegato il perché partecipiamo, commuovendoci, della perdizione di Anakin: perché capiamo, fino in fondo, la sua conversione al male paradossalmente compiuta a fin di bene.
     In questa prospettiva va valutata anche la notevole capacità di Lucas nel cogliere con acume straordinario, ad esempio, e proprio nel corso della Nuova Trilogia, un ordine costituito osservato in un momento di trapasso di poteri, prima ancora che sconvolto dalla catastrofe che ne segna il fallimento. La fine della gloriosa istituzione jedi, sempre più difettosa in lungimiranza e compassione, si respira nell'aria già dall'Ep. I. Tutto ciò che ne deriverà, in fondo, non ne è che una logica conclusione.

     Vorrei inoltre sottolineare che se Anakin si fosse dannato semplicemente per una questione di mero potere politico o sociale, quale la supremazia dei Sith sui Jedi, il loro controllo totale della galassia, che pure evidentemente ingolosisce il giovane uomo, credo sarebbe rimasto confinato in un ambito tragico chiaramente avulso dal nostro attuale sentire. Ne avremmo preso le dovute distanze come si conviene con un eroe (o antieroe) assoluto. Calarlo al contrario in una situazione tragica che è prima di tutto famigliare, quasi borghese oserei dire, lo rende automaticamente avvicinabile, alla portata delle nostre reali emozioni.
     Che poi questa tragedia personale abbia conseguenze e ripercussioni talmente complesse ed evidenti da stravolgere l'ordine di quella stessa società nel suo insieme, è esito che di conseguenza ci diviene molto più comprensibile, abbordabile. Il titanico scontro fra Bene e Male assume connotati più umani, più espliciti, più facili per noi spettatori smaliziati del terzo millennio ma totalmente diseducati alla comprensione degli stilemi tragici.

     È importante sottolineare poi come la trasformazione di Anakin in carnefice spietato che massacra senza scampo i piccoli padawan o i separatisti ormai vinti non avvenga fulmineamente come ai detrattori del film piace credere. Al contrario essa ha avuto inizio molto tempo prima e molto lentamente. È stata indotta, pilotata e pianificata negli anni, come è noto, dalla guida diabolica del Cancelliere Supremo Palpatine, personaggio che fra l'altro si appropria anche ambiguamente del ruolo di confidente (la nutrice della tragedia classica, ruolo che secondo logica avrebbe dovuto rivestire proprio Obi-Wan) usando e plagiando i sentimenti, tutto sommato un po' ingenui, del ragazzo ai propri orribili fini.

     Ciò che colpisce però è l'immediatezza con cui, al contrario, Anakin percepisce la propria caduta. Il terrore che scatena si traduce subitaneamente nell'orrore morale che Anakin ha di se stesso. E poiché l'orrore è diffuso nel luogo, che è ormai luogo simbolico dello sprofondamento nel Male assoluto, Mustafar, il contagio del terrore non tarda ad assalire colui che lo ispira. Il terrore che Vader da ora in poi distribuirà a piene mani nella "sua" galassia è lo stesso che egli prova in quel preciso istante. Le sue lacrime allora altro non sono che la messa a fuoco conclusiva, la presa di coscienza di aver definitivamente varcato la soglia che separa il giusto dall'ingiusto, oltrepassato il punto di non ritorno dal male che conduce verso l'abisso, il vuoto assoluto.
     Non so se in questo caso sia corretto parlare di senso di colpa del carnefice, io piuttosto propenderei per ineluttabile horror vacui.

     Mi piace credere infine che dietro l'impenetrabile maschera vaderiana si siano formate ancora nel corso del tempo altre lacrime, come barlume di coscienza sopravvissuto al male compiuto, tali da rendere il personaggio un po' meno tetragono e un po' più complesso rispetto a quella semplice icona del '77.
     Mi piace pensare che la redenzione di Vader/Anakin, il ritorno alla sua veste umana, sia iniziato proprio di lì, dalla commozione purificatrice del ricordo al primo incontro con il suo salvatore, quel figlio che, come dice all'amatissima moglie in ROTS, sarà davvero "una benedizione".

     Ma questo è soltanto, ovviamente, un punto di vista.

     P.N.C.
     11-VII-2005

     l'articoletto è nato dopo la lettura recente di due ottimi saggi di Aldo Carotenuto.
     1) Le lacrime del male, Bompiani, 2001
     2) La Forza del Male- Senso e valore del mito di Faust, Bompiani,2004







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