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Vedere o capire?

di Davide Canavero


     Pensate che Star Wars sia un'opera per il grande pubblico? Pensateci ancora.

     Qualcuno protesterà: ma come? Dopo averci spacciato i film di Lucas come la più grande saga di tutti i tempi vorresti persino farci credere che non si possono definire un'opera per il grande pubblico? Proprio Star Wars? Ma andiamo! Sarebbe un'opera colta proprio quella, con alieni di gomma e il pubblico che sgranocchia i pop-corn?

     Detto così, in effetti, suona piuttosto strano. Trattandosi —a parte la parentesi dell'ottimo Titanic— della saga cinematografica in assoluto più vista e conosciuta in tutto il mondo parrebbe proprio di non potersi sottrarre al cliché della popolarità di Star Wars. È un marchio indelebile.
     Dopo il clamoroso ed inaspettato successo del primo film si parlò —e mai si smise di parlare— di film di cassetta, film che battono ogni volta il record d'incassi. Star Wars divenne il prototipo stesso del blockbuster, capostipite degli innumerevoli film vuoti, tutti effetti speciali pop-corn e grida nel buio che caratterizzano gli ultimi vent'anni di Hollywood. In fondo tutti gli studios hanno sempre cercato di ripetere l'esperienza magica di creare "un altro Guerre Stellari", senza ovviamente riuscirci, segno che l'epopea di Lucas aveva —ed ha— una marcia in più, e certo non solo negli effetti speciali.
     Ciò non toglie che la sua fama sia tuttora quella del prodotto di consumo popolare, sinonimo di qualità bassa e di ampie concessioni al gusto del pubblico (a partire dagli effetti speciali, considerati ormai una specie di marchio d'infamia). Proprio la sua popolarità, così diffusa, sembrerebbe confermare in pieno che la sua struttura e il suo taglio infantile sono studiati per soddisfare le bocche buone, riuscendoci alla perfezione. Così, l'etichetta di "opera per il grande pubblico" sembra scritta nel suo DNA.
     Essere adatto al grande pubblico significa essere oppio per le masse ignoranti, quindi agli antipodi dell'opera di qualità: allora si chiama in causa l'imbastardimento del cinema raffinato, l'umiliazione della recitazione, della trama, delle idee, del coinvolgimento emotivo, dell'analisi psicologica. Star Wars avrebbe dato il primo colpo di piccone alle fondamenta del cinema, trascinando il gusto degli spettatori sempre più in basso. Il fatto che un'opera così infantile, piatta, vuota, finta, bidimensionale (poco più che un fumetto/fotoromanzo) sia stata elevata a un simile successo è un fenomeno allarmante, che preannuncia la morte del cinema. Proprio perché Star Wars è in assoluto l'opera più amata dal pubblico (e parliamo veramente di grandi numeri) dev'essere quella che si volgarizza di più, che più si abbassa per risultare gradita al maggior numero possibile di bocche buone. L'esatto opposto del film d'autore, o del film "culto" per pochi palati fini. La massa non ama mai le opere di qualità.
     Tutto ciò l'abbiamo sentito di dire più di una volta, né scordiamo quanto bruciassero simili parole.

     Vi aspettate che vi dica che invece questa volta la massa ha amato un'opera di qualità? Sì e no, a seconda del punto di vista. Se i critici sono snob —e soprattutto ottusi— su un punto bisogna però dar loro ragione: che la massa non comprenda la qualità è tragicamente vero, purtroppo.
     E dunque? Data la sua popolarità Star Wars è necessariamente un'opera da quattro soldi?

     Star Wars —e il resto della saga, che racchiudiamo nel marchio "SW"— è forse il primo caso di "cult movie di massa", concetto ossimorico; ma la contraddizione è solo apparente. Essa nasce dal fatto che, in misura particolarmente accentuata, la saga di Lucas può essere letta a diversi livelli. La si può guardare:
     1. come film per soli ragazzini, come fanno i critici più estremisti e ottusi, che provano fastidio avendo a che fare con sciocchezze infantili alle quali si sentono superiori;
     2. come film d'avventura ed evasione, intrattenimento spettacolare leggero: così fa la quasi totalità del pubblico occasionale; finito lo spettacolo non rimane nulla;
     3. come una vera saga, rendendosi conto delle principali connessioni tra i vari episodi; lo fa una minoranza: critici intelligenti e persone sotto i quarant'anni, istruite, amanti di fantasy e sci-fi e in generale quasi tutti quelli che hanno detto di averla "amata";
     4. infine la si può approfondire con articoli, saggi, comprendendo a fondo ogni cosa e scovando tutte le possibili risorse nascoste, significati, simmetrie, insegnamenti, proprio come lo si studierebbe a scuola (come facciamo in questa sede e come solo una piccola parte dei fan è disposta a fare).
     Questa molteplicità di letture non è possibile per nessun'altra opera, certamente non nella misura in cui è possibile qui: la gamma di prospettive in cui porsi dinanzi a Star Wars è di gran lunga più ampia che per qualsiasi altra epopea o favola o film. Invito chiunque sia in grado di farlo a indicare se esiste un'altra saga che possa comodamente essere considerata infantile e al tempo stesso una sintesi etica della parabola della vita umana; che possa apparire a taluni persino sciocca ma che sia in grado di continuare a svelare risvolti nascosti dopo anni; che abbia l'aspetto di un minestrone culturale di tutti i popoli e le epoche ma che alla fine sappia comunicare questa coerenza e questo realismo; che sembri a prima vista facile ma che cambi aspetto a seconda della prospettiva in cui si guarda ciascuno dei suoi capitoli, tenendo contro dell'insieme.
     Entro certi limiti un precedente esiste, ed è quello che consideriamo l'altro capolavoro di questo secolo, Il Signore degli Anelli. Ma c'è qualcosa che stia del tutto alla pari con Star Wars nelle caratteristiche menzionate?
     È una scommessa, la grande scommessa che facciamo qui trattando la creazione di Lucas come un capolavoro "letterario", sapendo che, se alcuni apprezzeranno lo sforzo, molti saranno quelli cui sembreremo coprirci di ridicolo. Ma non ci spaventiamo e, anzi, non temiamo confronti neppure con le grandi epopee del passato.

     Star Wars quindi, in un certo senso, non è affatto quello che sembra ai più. Se contenuti impegnati esistono e se letture profonde sono possibili è quello il suo vero spessore: per le opere dell'ingegno che devono comunicare dei contenuti non vale il detto delle catene, che cioè la loro forza è quella dell'anello più debole: al contrario, la forza di un'opera è quella delle sue parti migliori a prescindere dai suoi difetti. I poemi antichi hanno pecche, specie strutturali, davvero macroscopiche eppure la loro grandezza cancella qualunque imperfezione. È ciò che accade anche con Star Wars, dove la presenza saltuaria di cose sciocche o infantili sparisce letteralmente dinanzi alla grandezza di altri momenti.
     Non è qui che possiamo approfondire un discorso sul valore di Star Wars (lo facciamo altrove in dettaglio), ci accontentiamo di dare per certo che in sé l'opera vale, fugando il dubbio che il pubblico possa aver amato —e ancora amare— una stupidaggine.

     Genio incompreso

     La popolarità di Star Wars è un fatto reale ma, alla luce di quanto detto sulla sua qualità, si tratta ora di capire che tipo di popolarità sia. Quella di Lucas a nostro giudizio è un caso clamoroso di opera incompresa: suona davvero paradossale per l'opera più vista in assoluto! Incompreso è di solito ciò che il pubblico (o anche la critica) ignora; invece qui si delinea un paradosso clamoroso, quello di arrivare a dire che il pubblico è superficiale non perché abbia ignorato un'opera che vale (un miliardo circa di spettatori!), né per aver amato così tanto un'opera che non vale (quale gli ottusi pensano che SW sia), bensì perché ha amato un'opera che vale...senza però capire davvero perché valga.
     SW è, per così dire, stratificato: riesce a sfuggire al pubblico nei suoi contenuti più autentici ma al tempo stesso si fa amare e godere per il suo scintillante involucro esterno. L'amore per l'opera è sincero, il divertimento autentico, il fascino provato anche, ma solo in superficie. Il verdetto è triste: il pubblico è fatalmente superficiale, perché non può approfondire tutto, non ne ha il tempo; non è colpa sua: dovrebbe essere più preparato ricevendo a scuola qualche nozione su questa saga accanto alle altre che si studiano, e accanto all'opera di Tolkien.
     Riusciamo ora a far coesistere tre dati che, comunque combinati, sembravano non potersi conciliare: la grande popolarità della saga, il fatto che il pubblico sia condannato a un approccio superficiale, il grande valore dell'opera. Semplicemente, sono tutti e tre veri, e lo sono proprio grazie al fatto che Star Wars si può amare a diversi livelli.

     Chiariamo allora il nocciolo della questione. È vero che una massa sterminata ha visto al cinema o in TV o in home video o su altri formati i film della saga; ma è anche vero che la stragrande maggioranza di costoro è rimasta in superficie capendo poco o nulla: interrogati su ciò che hanno visto non saprebbero raccontarlo in modo preciso, non saprebbero spiegare che pochi, semplici elementi. La gente fa confusione tra personaggi, luoghi, eventi. Se interrogati sul significato delle connessioni cronologiche, strutturali ed etiche tra accadimenti e figure dell'epopea, sugli stessi eventi che accadono in secondo piano, più del 90% del pubblico non saprebbe spiegare ciò che ha visto se non a prezzo di enormi vuoti, aporie, confusioni, castronerie.
     In qualunque articolo mai apparso su SW su riviste e giornali o servizio televisivo le imprecisioni sono la norma, le baggianate dei giornalisti numerose e il modo in cui parlano di Star Wars sbagliato a cominciare dall'ottica in cui si pongono, spesso trattandolo come una "serie" di film. Insomma, neanche giornalisti e critici sono capaci di collocare l'opera nella giusta ottica e di orientarsi nella sua complessità senza dire scemenze.
     Non c'è da stupirsi: la saga di Star Wars non è affatto semplice, a dispetto della fama di prodotto naif che si porta dietro. Il mito che sia facile e immediata è una leggenda metropolitana.
     Titanic può essere visto da una vecchia signora di ottant'anni ed essere raccontato alla perfezione. Ma non certo SW, che unisce il lessico e l'estetica della fantascienza (e per di più altamente innovativi anche all'interno del genere) —fantascienza che richiede un certo tipo di "alfabetizzazione" nella cultura moderna— con la complessità delle saghe (qui la sua vera natura) che richiedono elasticità mentale, ciò che più clamorosamente difetta al grande pubblico. Le masse —e i critici— fanno una difficoltà penosa a seguire SW con elasticità e intuito nei suoi meandri strutturali e nelle sue connessioni, restando perennemente spaesati.
     Non basta sapere che il tale è figlio del tale per dominare la saga: questa è solo la comprensione minima —pari al saper leggere l'abc— al di sotto della quale sta il tipo di partecipazione che è lecito attendersi da un gatto.

     Star Wars è complesso: complessi sono gli eventi, complessa è la sua filosofia, complessi sono i personaggi (benché a prima vista appaiano saggiamente bidimensionali), complessi le loro motivazioni e il loro futuro, complesso anche tutto il "materiale connettivo" che riempie quell'universo.
     Per essere apprezzato completamente SW richiede palati fini e gente preparata. Per essere visto no, ma per essere capito e apprezzato davvero sì. Perciò diremo che questa saga è anche un'opera per palati fini. Dipende a quale livello vogliamo / sappiamo gustarla.
     Tocchi di classe nascosti come —tanto per fare un esempio— quello musicale alla fine di Episodio I —l'inno di festa di Naboo che è in realtà una riscrittura del cupo tema dell'Imperatore— sono come gemme preziose che vanno portate alla luce. Se questi tocchi ci sono, vanno indubbiamente gustati: è una sorta di dovere; inoltre con la loro presenza testimoniano che l'opera non può essere definita intrattenimento per pocche buone: nessuno può più permettersi di dirlo, se non a prezzo di dire il falso. Quei dettagli testimoniano anche che Lucas ha voluto "sprecare" molto, non inseguendo solo la filosofia dello spettacolo abbagliante che stordisce lo spettatore —come alcuni credono— bensì lasciando sui suoi passi molti tesori nascosti che, nel caso della trilogia originale, vengono scoperti solo oggi. Lucas non ha affatto massimizzato quel "poco" che, per alcuni, aveva da dire in una manciata di ore di spettacolo, per cercare con ogni mezzo di blandire il pubblico, non ha giocato tutte le sue carte gettandole in faccia agli spettatori; ha dato sì lo spettacolo, ma solo dopo aver rivestito con esso i contenuti e aver nascosto a fondo, molto a fondo significati e dettagli raffinati; cioè ha tenuto nella manica le sue carte migliori.
     Insomma, quella di Lucas è un'opera da scoprire, anche per chi è convinto di conoscere tutto: è una sciarada da analizzare e interpretare, che la sola contemplazione visiva non permette affatto di capire; diciamolo chiaramente: i film della saga non forniscono (non potrebbero mai) dati sufficienti a una vera comprensione.
     Qual è lo scopo di un'autocitazione musicale, come quella che abbiamo portato ad esempio, così ricca di significato ma così criptica? Che senso ha, si chiede qualcuno, se essa non è per nulla evidente, visto che nessuno che non ne sia informato se ne può accorgere? Che senso ha se nessuno la coglie? Perché Lucas mette nei film delle cose "invisibili"? Tutti dovrebbero poterlo sapere! Milioni di spettatori avrebbero potuto apprezzare di più ciò che vedevano se gli fosse stato spiegato un dettaglio così affascinante! Invece niente.
     Tutto ciò è voluto, ovviamente: il senso di questa filosofia sta nel gusto del sottile gioco tra autore e pubblico, il gioco raffinato della tecnica allusiva che pochi sanno cogliere; per gli altri resta un messaggio subliminale. Chi è a conoscenza del dettaglio, o è capace di coglierlo, merita di godere l'opera in misura maggiore; a sua volta, potrà renderne partecipi gli altri.
     È anche in questo che Star Wars si comporta come un'opera letteraria, che senza previo studio non si può gustare del tutto.

     Vedere credendo di capire

     I critici (o gli aspiranti tali) che hanno criticato la saga dovrebbero prima dimostrare di aver compreso quello che vedevano (sempre che prima di parlare abbiano davvero visto): farebbero pessime figure; altrove si dà un'analisi seriocomica delle sciocchezze più divertenti dette dai critici. Caso esemplare è, ancora, Episodio I: interrogati su cosa sia la minaccia fantasma del titolo, i più direbbero enormi cretinate, come è stato possibile notare venendo a contatto col pubblico all'epoca dell'uscita del film e leggendo gli articoli e le critiche.
     Non arriverò a dire che Star Wars sia un'opera ermetica: dirò che è anche ermetica.

     SW non è popolare nel senso che la gente lo capisce: no, la gente inevitabilmente non ci capisce quasi niente; lo va a vedere sì, ma che lo comprenda questo proprio no! Non ci riescono neppure molti critici.
     Il cinema è l'arte popolare per eccellenza in questo secolo, quindi nessuno scandalo se il pubblico ama i film e se i film sono fatti perché il pubblico li ami. Ma Star Wars non sono solo dei film, ed è per questo che se l'involucro "film d'avventura" piace al pubblico, è proprio la ricchezza dell'epopea, coi suoi dettagli e i suoi significati, a sfuggire.
     Star Wars soffre (dolce malattia) della sindrome delle epopee, che per la loro complessità richiedono, come abbiamo detto, una certa preparazione. Il problema è che SW richiede il doppio della preparazione di qualunque altra epopea perché parte con un handicap macroscopico, quello di essere ambientato in un altro tempo e in un altro luogo. Nessun collegamento storico, neppure sottile come nell'opera di Tolkien. Lucas ha creato un intero universo e, se vogliamo apprezzarlo, ci obbliga a studiarlo.
     Alcuni non capiscono tutta la saga di Star Wars perché è troppo "nuova"; protestano che quel mondo e quelle vicende sono troppo ermetici e incomprensibili dalla visione dei soli film. "Come si fa a paragonarlo al ciclo omerico o bretone, che sono molto più facili!" mi sono sentito dire. Vediamo se l'obiezione è calzante o no, o meglio: vediamo se l'obiezione è leale o sleale.

     Immaginiamo per assurdo, per fare un paragone con la novità dell'universo di Star Wars, una persona che non avesse mai sentito nominare in vita sua (per non averlo mai studiato a scuola nè sentito altrove) il Medio Evo, che non avesse idea di cosa sia, che non avesse mai sentito parlare di cavalieri, che non immaginasse affatto quell'epoca, di più: che non avesse mai sentito parlare del cristianesimo in vita sua, e che quindi fosse totalmente a digiuno dell'intero mondo culturale presente nei cicli medievali, che non conoscesse nulla della civiltà cristiana, del modo di vivere e pensare di quell'epoca. Nulla di nulla (questo è esattamente ciò che ciascuno di noi sa dell'universo di Star Wars prima di conoscerlo per la prima volta: nulla!). Ebbene, a costui supponiamo di mostrare all'improvviso un film su re Artù: cosa capirebbe? Come si sentirebbe? Totalmente spaesato, incapace sulle prime di orientarsi in quel mondo, di capire le dinamiche di ciò che accade e di capire quale sia la mentalità di quell'universo.
     Questa è la situazione in cui si trova il pubblico che oggi deve familiarizzare con una saga inedita, che non ha precedenti di questo tipo, non a livello complessivo. Luoghi mai visti, usi e costumi immaginari, eventi da decifrare, linguaggio da decifrare... Una civiltà da imparare; e senza che il cosiddetto "film" possa avere il tempo di spiegare tutto.
     Ecco cosa accade davanti a Star Wars all'inizio: inizio che per molti non ha mai un seguito, e per milioni di altri precede solo una serie di visioni che comunque non accrescono davvero la conoscenza. Nulla di cui stupirsi se quasi tutti restano sempre solo in superficie.
     Tirando le somme, il mio giudizio è lapidario: la gente ha amato la saga di Star Wars prima di (o senza) averla capita.

     Pensare Star Wars

     Star Wars va pensato, non basta vederlo.
     C'è una ricchezza che solo il pensiero può attingere, non la visione. Ciò che un critico disse, che "Lucas ci restituisce al piacere puro della visione, nulla più", senza partecipazione emotiva, identificazione e soprattutto senza esercizio dell'intelletto, appare col passare del tempo sempre più falso, la solita frase apparentemente colta che i critici devono dire per riempire una riga e sentirsi acuti e intelligenti, traendo dalla svalutazione di qualcosa di importante un senso di rafforzamento della propria persona. Mentre nessuno che non abbia meditato a fondo dovrebbe azzardarsi a parlare: si fanno solo dei danni, e si influenzano lettori con pensieri non pensati su opere non pensate. Non si tratta sempre solo di punti di vista diversi: si tratta talvolta di negligenza intellettuale dei critici. Molti di loro infatti, se accompagnati per mano, riuscirebbero a capire.
     Lucas ci ha dato anche il piacere della visione, ma certo non solo quello: ci ha dato personaggi coinvolgenti (o non sarebbero amati anche oggi dopo molti anni). Sono forse semplici i personaggi di SW? Non ascoltate chi guarda un'opera di sfuggita e poi pontifica svogliatamente riempiendo le pagine su cui scrive di giudizi inutili — inutili perchè non meditati. Mostratemi allora un personaggio complesso, dirò a questi santoni della narrativa, e vediamo se dopo vent'anni si riesce ancora a estrapolare tutto quello che si può estrapolare dai personaggi di Star Wars, che si trasformano in esseri caleidoscopici pieni di nuove sfaccettature a mano a mano che la saga si dipana e i nuovi "canti" del poema gettano nuove luci (e nuove ombre) su quelli già esistenti. Dopo vent'anni stiamo tornando su personaggi che credevamo di conoscere e li vediamo apparire sotto una nuova luce, il loro ruolo nella saga appare diverso.
     Queste sono proprio alcune delle cose più affascinanti che il pubblico non capisce.

     Star Wars va pensato.
     Pensandolo, cioè "soppesandolo", come da etimologia, si scopriranno insegnamenti insospettati, sublimi simmetrie temporali e allegoriche, connessioni e chiavi di lettura etiche appena intravedibili nei film.
     Pensandolo si scoprirà di guardare a ogni "episodio" con occhi diversi, perché gli stessi personaggi hanno fatto prima e faranno in seguito cose che cambiando il nostro modo di percepire ciò che stanno facendo in quel momento.
     Senza "pensare Star Wars", come si può connettere —con un senso di sgomento— la scena del piccolo Anakin che vola dentro un caccia naboo con R2-D2 alle sue spalle con la scena del canale della Morte Nera, dove Darth Vader insegue il figlio Luke che sta facendo esattamente ciò che il padre aveva fatto tanto tempo prima, con R2-D2 lì dietro ad assisterlo. Come può venire in mente questo, se non "pensando Star Wars"? Non è affatto evidente a differenza di quello che i fan possono pensare; l'elasticità mentale per accorgersene, provando le sensazioni che l'idea comunica, manca a quasi tutti gli spettatori.
     Questa è una "prova" fra tante della complessità della saga. Indispettisce e al tempo stesso piace pensare che questa intuizione / emozione tragica purissima, (degna di Sofocle: pietà e sgomento, e non palese, in scena nella trama, ma nascosta, frutto di simmetrie tutte da esplorare), degna di un capolavoro quale SW è, resti appannaggio di pochi che se la meritano, poiché esercitano la grande facoltà chiamata pensiero. Ciò che al critico di cui sopra mancava era proprio questo: il pensare.
     L'esempio del piccolo Anakin Skywalker, grande figura tragica ma —per il pubblico— semplice eroe bambino di un film, dà l'idea del vedere e dell'amare un'opera prima di (o senza) capirla.

     Tornare a scuola?!?

     Questo del pensare l'opera è un valore aggiunto esterno all'opera stessa che ben pochi film o romanzi possiedono. È la differenza che corre tra leggere un classico da soli e avere l'aiuto di qualcuno che ce lo spiega, come a scuola, che sia un insegnante o anche solo un manuale. Quando un'opera ha molto da dire, la sola lettura o la sola visione non aiutano più di tanto chi sia sprovveduto dei mezzi per interpretarla e chi non si renda neppure conto del suo valore.
     Questa è la situazione in cui il pubblico si trova quando partono i titoli trapezoidali di Star Wars.
     Il primo limite del pubblico è quello di considerare la saga una serie di semplici film, punto e basta; cioè di non capire che è un'opera dotata di potenzialità più vaste, classico tra gli altri classici in grado di reincarnarsi in tante forme. Lo guardano come guarderebbero un poliziesco o un film d'avventura qualsiasi.
     Se gli spettatori si rendessero conto che conviene guardare Star Wars sotto una diversa luce, se capissero che non sono blockbuster cinematografici ma una di quelle epopee che si studiano a scuola (anche se purtroppo non hanno studiato questa in particolare, essendo troppo recente), forse si metterebbero nell'ottica giusta per iniziare a capire qualcosa di più.
     Serve discutere, riflettere, capire. Insomma, pensare SW. Guardare non basta, lasciamolo fare a chi non sa andare oltre i pop-corn.
     Il pubblico corre, mastica questi famosi pop-corn, entra ed esce dai cinema, dopo un'ora ha già dimenticato. SW, a dispetto della sua fama, non è fatto per questo, o comunque non solo per questo. Chiede riflessione, calma. Questi sono tempi troppo frettolosi e superficiali per SW. Il suo successo per certi versi è sorprendente e l'abbiamo spiegato col fenomeno della stratificazione che lascia spazio a molteplici livelli di fruizione: perciò la massa si ferma al godimento degli effetti speciali e a intuizioni nebulose della bellezza dell'epopea: ma non sa spiegare esattamente cosa le piace e perché sia pregevole.
     Hanno creduto di amare Star Wars: invece hanno amato i film di Star Wars.






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