Mappa del sito Aiuto



La spada del mito

di Davide Canavero e Chiara Marino


     Anche Star Wars ha le sue spade, come ogni mito che si rispetti. Ma le valenze di cui si caricano questi oggetti nell'opera lucasiana sono spesso inedite.

     Una premessa tecnica

     Quando sentiamo parlare di "cavalieri" Jedi pensiamo istintivamente alle spade antiche; ma le spade laser di Star Wars hanno poco in comune con quelle dell'antichità classica o del Medioevo, pesanti e con lunghe cocce che, a lama rovesciata, le facevano sembrare delle croci. Più in generale, le spade laser non assomigliano a nessun tipo di spada europea (1). Possiamo parlare di analogia di funzione, non certo di analogia di forma. Anzi, quelle usate dai Jedi non sembrano nemmeno spade, soprattutto quando sono spente; un profano le scambierebbe facilmente per delle volgari torce elettriche, benché l'atto dell'accensione corrisponda perfettamente al gesto dello sguainare. Ogni perplessità cessa quando l'arma viene attivata: la sua lama di pura luce riempie di meraviglia gli spettatori e nessuno ne mette più in dubbio l'eleganza e la sublimità. Comunque, il suo nome originale —è bene ricordarlo— non è "laser sword", ma "lightsaber", cioè "lama di luce", senza alcuna menzione esplicita della "spada".

     Una certa somiglianza con le spade vere c'è, in realtà, ma va cercata —ancora una volta— a Oriente, nella spada dei samurai, la katana, senza cocce, dall'elsa lunga e dalla lama stretta. Anche la modalità dell'impugnatura rimanda alle spade dei samurai, tenute con due mani, più che a quelle europee, non di rado brandite con la sola destra (2), specie nella scherma.
     I Jedi, come i samurai, non sono "spadaccini" o "moschettieri", ma cavalieri; eleganti, senza l'affettazione del maestro di fioretto; agilissimi, senza sembrare ballerini. E —quel che più conta— la loro spada laser non è solo parte di un equipaggiamento, non è solo uno strumento del mestiere, come quella sfoderata dai moschettieri. La spada di un Jedi è parte di colui che la impugna, è un'estensione vera e propria del guerriero e soprattutto —vedremo alla fine— è una proiezione della sua identità.
     Ed è un oggetto sacro.


Una katana giapponese

     Troppe spade

     Ma nella mente di George Lucas non è sempre stato così. Nelle prime bozze di Star Wars egli aveva pensato alle spade laser —incredibile ma vero— come a delle armi standard, in dotazione a tutti: soldati imperiali, ribelli, e Jedi. Lo prova una vecchia tavola di Ralph McQuarrie, da riconnettere a uno stadio piuttosto primitivo dell'evoluzione del primo film. Se avesse prevalso quella impostazione, le spade laser sarebbero state l'equivalente delle comuni pistole nel mondo moderno, o in quello che dopo è diventato l'universo starwarsiano come lo conosciamo; ovvero l'equivalente delle spade nei miti antichi, al tempo in cui quello era l'unico tipo di arma esistente.

     Solo in seguito Lucas intuì che le spade laser avrebbero potuto assumere una valenza più forte e una patina leggendaria e sacrale se fossero state appannaggio esclusivo dei Jedi; idea che a noi oggi appare scontata. Scegliendo questa via, l'Autore ha sapientemente dotato il suo universo di una notevole profondità storica, facendovi coesistere volgari pistole a raggi con armi antiche e nobili, cadute in disuso. La chiosa di Obi-Wan a Luke consacra tale interpretazione: "Questa è l'antica arma dei cavalieri Jedi. Non è goffa o erratica come un fulminatore. È elegante, invece; per tempi più civilizzati". Furono anche dettagli come questo a stregare il pubblico del '77, suggerendo un ricco background epico.


Un dipinto di Ralph McQuarrie illustrante una scena di una bozza primitiva di Star Wars
     I Jedi si distinguono nettamente dal resto dell'umanità, poiché appartengono a una ristrettissima casta di guerrieri mistici, dotati di un potere soprannaturale dato loro in dono dalla Natura, cioè dalla Forza. Una casta che durante l'Impero si è addirittura estinta, rendendo le gloriose spade laser delle rarità assolute.
     Rispetto ai loro più modesti precedenti storici e mitici, i cavalieri ideati da Lucas —assisi nella Sala Rotonda anziché attorno alla Tavola Rotonda— hanno innumerevoli qualità inedite e soprattutto padroneggiano la Forza, che viene impiegata anche per controllare la stessa spada laser, alla quale fanno compiere prodezze cinetiche altrimenti impossibili, come parare colpi laser: una sorta di angelica invincibilità.
     La spada "di fuoco", brandita da quelli che sembrano angeli delle schiere della Luce, rimanda al biblico gladius flammeus (3). È anche attraverso queste loro spade a prima vista "soprannaturali" che i Jedi portano giustizia. Una spada brandita da un qualunque guerriero medievale, o finanche da un samurai, non è certo circondata dalla stessa aura mistica —ed elitaria— che ha una spada laser nelle mani di un Jedi, poiché essi soli nella storia della mitologia sono al tempo stesso guerrieri e stregoni. Le loro spade non brillano di luce propria, ma di quella riflessa da loro stessi, dalla loro sacralità e dalla loro sintonia con la Forza. Quindi il confronto che dobbiamo istituire non è quello con i cavalieri o i samurai, bensì con gli eserciti angelici della Bibbia; un paragone che funziona anche con i Sith, raffrontabili agli angeli rinnegati. I Jedi sono cavalieri angelici e le loro spade di luce sono messe in ombra —paradossalmente— da una luce più grande, quella che emana da loro. Tanto che un Jedi (o un Sith) resta sempre tale, e dotato degli stessi poteri, anche senza la propria spada, mentre i re leggendari del mito, se privati delle loro spade fatate, cadono subito in battaglia; Artù per primo.

     Materializzazione del potere

     Riflettiamo sul senso archetipico della spada: essa è un'arma e come tale investe chi la possiede e la brandisce di un certo ascendente, di un potere sicuramente effettivo, ma anche metaforico. È naturale quindi che in epoche arcaiche la spada abbia assunto una valenza sacrale e magica, in quanto il potere in sé, per essere acquisito ed esercitato, abbisogna di ben definiti momenti di passaggio consacrati e consacranti mediante azioni e simboli.
     Il primo di essi è la lotta per il potere: durante il combattimento il guerriero si fida della propria arma come di un prolungamento del proprio braccio, essa diventa una sorta di altro-da-sé e come tale va nominata anche a scopo apotropaico. Dotata di un'identità, l'arma acquista un'anima, e piace immaginarla creazione di qualche essere soprannaturale che ad essa conferisce invincibilità intrinseca. Essa è un personaggio dotato di vita propria e come tale ha diritto ad acquisire personalità per mezzo del nome: da qui l'onomastica delle spade mitiche di Orlando, di Siegfried, di Artù. Ma pensiamo anche alle spade dalle lame decorate a intricati girali e motivi floreali di epoca barocca: sono anonime, tuttavia possiedono una marca estetica apparentemente fine a se stessa, atta effettivamente a scongiurare ogni male derivato dalla lotta.
     Il secondo momento fondante è l'esercizio del potere acquisito. La spada diventa il simbolo della forza sovrana, della pace che sta all'erta. Il potere è dovuto alla vittoria in guerra, la vittoria è conseguenza della virtù della lama. Il valore simbolico si consolida quand'essa passa di padre in figlio: miticamente, nel caso di Wotan / Siegmund / Siegfried o borghesemente, nel caso di D'Artagnan che riceve l'investitua paterna al momento di partire alla volta di Parigi. Mitici o meno che siano, questi momenti si caricano di uguale significato, quello cioè dell'eredità e del passaggio del potere da una generazione all'altra, testimone un oggetto che è stato e che continuerà ad essere corredo di una dignità socialmente riconosciuta ed accettata.
     La spada assurge a simbolo più di qualsiasi altra arma in quanto il suo impiego comporta competenze e destrezza particolari: c'è in essa una nobiltà di fondo che passa attraverso i secoli e che viene affermata dalle complesse regole della scherma e dal suo cerimoniale, cosa che conferma e rafforza anche in epoca moderna il valore "mitico" di un oggetto che SW ha rappresentato in modo oltremodo affascinante.

     Spade senza nome

     Innumerevoli sono nella mitologia mondiale le spade famose che meritano ben più di quelle starwarsiane la qualifica di "soprannaturali". Ci riferiamo alle celebri Excalibur, Durlindana o Notung, e anche alle tante armi fatate della mitologia greca. Se in Star Wars qualunque spada laser, per il fatto stesso di essere un'arma per pochi, è oggetto di timore reverenziale e simbolo di un potere mistico, nei miti antichi soltanto certe spade specifiche sono oggetti sacri, carichi di una forza trascendentale che le differenzia da tutte le altre spade dei comuni guerrieri; e non a caso queste spade divine sono dotate di un loro nome.
     Quella di gran lunga più celebre —e celebrata— è Excalibur (4), che nel ciclo bretone come noi lo conosciamo svolge quasi la funzione di un vero e proprio personaggio.
     Figure leggendarie in tutto il mondo sono state associate a spade magiche, spesso simbolo stesso della loro regalità. La storia di Artù è affine a quella dell'eroe irlandese Cú Chulainn, che utilizzava una spada chiamata Caladbolg, il cui nome è la remota origine di Excalibur. Queste spade solitamente sono forgiate da un fabbro elfico, chiamato Wayland nella mitologia sassone, Gofannon in quella celtica, identificabile con l'Efesto / Vulcano della mitologia greco-romana, il quale forgiava armi fatate come quelle donate dalle Muse a Perseo e da Teti ad Achille.
     Come abbiamo visto, le spade di Star Wars hanno poco a che spartire con questi illustri precedenti, sia in senso positivo che in senso negativo. Certamente mancano di quell'unicità, di quella preponderanza di "carattere" e di quell'aura soprannaturale —in senso stretto— che contraddistingue Excalibur, una spada che sembra vivere di vita propria, che si comporta quasi come un personaggio a sé stante, e che non a caso è dotata di un nome. Oggetto fatato che appartiene a un altro mondo, essa viene solo "prestata" ad Artù, e a quell'"altrove" ritorna alla morte del re, nella celebre scena della mano incantata che l'afferra e la riporta negli abissi.
     La spada laser di un Jedi, invece, viene fabbricata da lui stesso e risulta altamente personalizzata; appartiene solo a colui che l'ha creata, il quale la può donare o lasciare in eredità. Ogni spada laser è un oggetto unico che riflette la personalità del Jedi, un fatto inedito e ricco di risvolti interessanti, nonché motivo di arricchimento del tessuto narrativo e simbolico. Essa, infatti, è una proiezione dell'allineamento morale, come appare evidente dall'inequivocabile codifica dei colori delle lame di luce: quasi sempre verdi e azzurre quelle dei Jedi del Lato Chiaro, di solito rosse quelle dei seguaci del Lato Oscuro. In combattimento la spada, grazie alla Forza, è un prolungamento del guerriero, come per i samurai o gli angeli biblici; ma lo stesso oggetto utilizzato da chi è insensibile alla Forza diventa solo un semplice utensile; si pensi a Han Solo che adopera la spada di Luke ne l'Impero colpisce ancora per sventrare il tauntaun. Ecco tornare la fondamentale differenza: è il Jedi, attraverso la Forza, a caricare la spada laser di potere mistico, e non viceversa, come per le armi fatate dei miti.
     A questo punto possiamo affermare che le spade laser non hanno bisogno di un nome: il loro nome è quello del Jedi che le impugna. Nessuna Excalibur è necessaria in Star Wars, proprio perché qui esistono già i Jedi.

     Spade spezzate, identità riforgiate

     Quando Qui-Gon Jinn muore a Naboo, ucciso da Darth Maul, l'allievo Obi-Wan Kenobi fa sua la spada e il ruolo stesso del maestro, con la promessa di addestraere il piccolo Anakin. Obi-Wan riassume in sé anche Qui-Gon, ne incorpora simbolicamente la figura. Egli ha perduto la propria spada di allievo Padawan e con essa anche la sua stessa giovinezza, l'Obi-Wan di prima: quando eredita la spada di Qui-Gon egli diventa maestro in sua vece, e compie il suo passo verso l'età adulta, verso l'Obi-Wan deuteragonista della saga.
     L'aspetto forse più affascinante delle spade laser nella saga di Lucas è proprio questo, cioè che oltre a riflettere l'allineamento morale dei Jedi esse sono anche proiezioni dell'identità degli stessi; come se si stabilisse l'equazione spada = Jedi. Per illustrare quest'ultimo tema sarà utile rifarsi al ciclo dei Nibelunghi nella versione wagneriana (5), istituendo un altro confronto, che porrà in risalto le peculiarità della simbologia della spada in Star Wars.
     Siegmund sa che nel momento del pericolo troverà la spada paterna, così come accade a Luke: la spada Notung —fatata al pari di Excalibur— è il mezzo attraverso cui passa la protezione del padre Wotan. Ma questi a un certo punto "revoca" il potere dell'arma, perché tale potere discende da lui solo, che è il Padre degli Dei, lo Zeus germanico. E come Luke perde mano e spada nel suo primo scontro con il padre, così Siegmund, nel combattimento che chiude il secondo atto della Valkiria, colpisce la lancia di Wotan e la sua spada vola in frantumi. Sarà Siegfried, il figlio dell'incesto con Sieglinde, a riforgiarla.
     Nella saga di Star Wars le spade laser non vengono "riforgiate" bensì ricostruite ex novo; tuttavia dell'epos germanico esse conservano il concetto del rinnovamento dell'arma come simbolo di una presa di coscienza dell'eroe. Quando la spada si rinnova è l'eroe stesso a rinnovarsi, a conferma della valenza simbolica dell'arma rispetto all'identità del personaggio. Anche Luke, per maturare, dovrà ricostruire una propria spada in sostituzione di quella perduta a Cloud City. In SW però questo gesto è un vero "rito di passaggio", codificato in maniera precisa: fabbricare una spada laser con le proprie forze è l'ultimo atto richiesto per diventare un Jedi.
     Il risvolto più interessante è che la spada perduta era quella di Anakin, l'identità buona di Vader, della quale Luke è erede e prolessi proprio per il tramite dell'arma: quando Vader mutila il figlio e distrugge la propria antica spada, in qualche modo "disconosce" ancora una volta il proprio passato benigno che vede riflesso nel figlio, ribadendo la propria malvagità; anche se temporaneamente. Il gioco dei simboli in SW è più che mai ricco e sotto questo aspetto le spade rivestono un ruolo di primo piano.
     Il riforgiare la spada per Siegfried è simbolo del suo affrancamento, della sua ribellione cosmica contro il tiranno (che è il nonno, perché qui c'è una generazione in più, in assenza di quella ricchezza etica tutta starwarsiana che è lo sdoppiamento della personalità). Per Luke l'analogo gesto del crearsi una nuova spada è pure segno di maturità e affrancamento dal padre, poiché quella nuova è la prima spada che appartiene al solo figlio, e può essere letta come una presa di distanza da un Anakin che ormai sembrerebbe non esistere più — essa fa il paio con la frase "Allora mio padre è morto davvero". Ma è una situazione transitoria. Quella di Luke non è una ribellione cosmica contro un tiranno cosmico, al contrario: è pura sublimità che segna la superiorità morale di Star Wars rispetto alla spietatezza primordiale dell'epica germanica e anche greca: Luke crede ancora in Anakin, e lo convertirà. La sua nuova spada simboleggia il fatto che il giovane si rivolgerà al proprio padre non come semplice ombra della sua passata identità, Anakin, ma come persona indipendente e cavaliere Jedi di grande forza d'animo e maturità: Luke Skywalker. Quella maturità nel Bene che Anakin non aveva mai raggiunto: ora Vader nel figlio non vede più ciò che lui era da ragazzo, ma ciò che avrebbe dovuto essere e non è mai diventato.

     Il secondo duello ha ancora una volta dei parallelismi con quello nibelungico: così come Wotan aveva spezzato la propria spada, in mano a Siegmund, e Vader aveva troncato la mano di Luke con la spada del fu Anakin, cioè lui stesso, così ora è Siegfried a vincere (in vece di Siegmund) spezzando la lancia di Wotan (niente spada, il parallelismo è imperfetto) ed è Luke a tranciare la mano e la spada di Vader. Il contrappasso fin qui funziona in parallelo.
     Luke si arresta proprio perché la sua stava diventando una ribellione cosmica. E se quella di Siegfried è una ribellione semplice e priva di conseguenze soggettive, quella di Luke è carica di rischi morali. Alla luce del codice Jedi, egli non può permettersi di distruggere un malvagio senza diventare come lui. Ecco allora che nella sua mano bionica vede un pericoloso parallelismo con Vader, sottolineato dall'Imperatore: "Prendi il posto di tuo padre al mio fianco". Luke seguirebbe le orme del padre, ma non quelle di Anakin, bensì quelle di Vader!
     C'è dell'altro. Luke, vincendo il duello e troncando la mano con la spada di Vader, non solo si avvicina pericolosamente al Lato Oscuro, ma compie anche un altro rovesciamento rispetto al duello di Cloud City: se Vader aveva spezzato nel figlio quel che restava della propria antica identità, quella del buon Anakin, ora Luke, pur nel "rischio morale" che corre, compie un gesto importante che conferma simbolicamente le sue intenzioni di fondo —quelle che aveva prima dello scoppio d'ira e che lo avevano portato alla scelta di fondo di rischiare la vita per la salvezza del padre—: vincendo egli tronca non la mano di Anakin, che non esiste più da molto tempo, ma quella di Vader, una mano ormai mero sembiante artificiale, una maschera. Luke spezza l'armatura di Vader, vi apre una breccia. Da quella breccia uscirà nel giro di pochi minuti lo spirito del vecchio Anakin. Con quel gesto simbolico (pur compiuto in preda all'ira) Luke libera letteralmente lo spirito di Anakin, come desiderava fare da tempo, ispirato dalla Forza e dall'amore filiale. L'identità corrotta di Vader precipita con mano e spada nell'abisso, sconfitta. Il tiranno non esiste più, esiste il padre; pronto a restituire il gesto eroico.
     L'ultimo atto sarà quello di togliere la maschera. Il Jedi è ritornato.
     Quando Siegfried spezza la lancia di Wotan questi perde il Potere. In SW la perdita della mano e della spada di Vader è molto, molto di più. È una redenzione, una liberazione da un Potere che è un fardello nefasto, come l'Unico Anello di Tolkien. Luke libera il padre che era "cattivo" in senso etimologico, captivus, cioè prigioniero (del male). Nella circostanza parallela Wotan è un titano / tiranno abbattuto e nulla più, Vader è invece un eroe tragico che risorge con la propria Volontà ribelle (anche contro di sé: tiranno e ribelle insieme), e torreggia nella mitologia universale sopra ogni altra figura, in una posizione di assoluto primato, portando con sé verso simili vette di sublimità l'intera opera. Se nell'epos germanico è Siegfried a compiere la rivolta contro un tiranno cosmico, in SW è il tiranno stesso a ribellarsi all'altro sé. Con buona pace di chi parlò dei personaggi lucasiani come di figurine senza spessore.

     La simbologia delle spade in Star Wars è dunque più ricca che mai, più che in qualunque altra epopea; eppure è solo uno degli innumerevoli tasselli di un mosaico simbolico di eccezionale complessità, che conferma il primato assoluto di quest'opera.





     Note:

(1) Ecco uno schema che mostra le principali varietà di spada apparse in Europa nel corso dei secoli; nessuna è raffrontabile con le spade laser di Star Wars:
(2) Rileviamo tuttavia che in alcuni combattimenti medievali gli spadoni venivano impugnati a due mani. Le spade antiche, soprattutto, sono pesanti e il più delle volte vengono brandite a due mani, sebbene esistano anche spade da una mano e da una mano e mezza (si brandiscono con una o due mani). Chi va a cavallo è logicamente obbligato a usare la spada da una mano. L'uso della doppia mano perdura sino al Cinquecento, tenendo presente che i Lanzichenecchi stessi usano spadoni a due.
     Ma già dal Trecento si afferma lo stocco, spada dalla punta triangolare con cui si colpisce di punta (mentre per quasi tutto il Medioevo si ferisce di taglio). Lo stocco evolverà in forme sempre più agili, per giungere alle spade da moschettiere (primi deceni del Seicento), sottili, da una mano - in una con l'evoluzione dell'arte della scherma, sempre più agile ed "acrobatica". Le sciabole, ricurve, saranno in auge sino ai tempi nostri, quale corredo di alte uniformi (comunicazione orale del sig. Renzo Arcon a Chiara Marino).
(3) Ci riferiamo all'angelo che scaccia Adamo ed Eva dall'Eden, nel Genesi, ma anche ad altre rappresentazioni di angeli con spade fiammeggianti.
(4) Di solito Excalibur -o "Caliburn" o "Caladfwlch"- è erroneamente descritta come la famosa "spada nella roccia", estratta da Artù da un'incudine. Ma quella era in realtà la prima spada del re, che rappresentava il suo diritto regale e che andò distrutta in battaglia. La vera Excalibur invece, stando alla leggenda, fu la seconda spada di Artù, donatagli dalla "Signora del Lago" per intercessione di Merddyn (Merlino) e forgiata da un fabbro elfico di Avalon; essa era indistruttibile e garantiva l'invulnerabilità assoluta al re purché fosse riposta sempre in un fodero d'argento. Quando il fodero andò perduto a causa di Morgana Artù fu ferito a morte. Allora ordinò più volte a Bedwyr (o Girflet) di gettare Excalibur nel lago da cui proveniva: quando ciò avvenne la mano misteriosa della Signora la afferrò e scomparve.
     Excalibur è ispirata a Dyrnwyn, la spada di Rhydderch il Generoso, di cui si parla nell'antico Mabinogion gallese, una spada proveniente dall'Altrove, capace di mutarsi in fiamme ma utilizzabile solo da principi di nobile stirpe.
(5) Per approfondimenti si veda Il mito allo specchio, di Chiara Marino - in questa stessa sezione, Influenze - Radici culturali.





Mappa del sito

torna a Radici culturali

Salva

Aiuto

Cerca