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Star Wars tra Jung e Freud

di Giovanni Mori

     Negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale, la psicoanalisi cominciò ad esercitare un influsso crescente sul cinema e, in particolare, su quello americano. Tale influsso si manifestò in modi e con risultati molto differenti in funzione degli autori, dei generi di produzione e degli orientamenti che la psicoanalisi stessa, a cinquant'anni dalla sua nascita, aveva assunto nelle culture occidentali.
     L'esplorazione dell'inconscio, i meccanismi della rimozione, la clinica delle nevrosi, l'interpretazione dei sogni, secondo l'elaborazione di Sigmund Freud, esercitarono, per esempio, una forte attrazione in molti film di Alfred Hitchcock (1) (Io ti salverò (2), La donna che visse due volte (3), Psycho (4), per citare soltanto i più noti). Inserendosi nello scenario domestico e sociale americano e conservandone sostanzialmente intatta la rappresentazione realistica, la psicoanalisi proiettava i personaggi in un gioco che li spogliava del consueto protagonismo eroico e li assoggettava a meccanismi inconsci di cui non erano più padroni.
     In altre occasioni la psicoanalisi entrò nella sceneggiatura dei film attraverso la messa in scena esplicita della relazione fra psicoterapeuta e paziente, con effetti ora drammatici ora umoristici come in alcuni film di Woody Allen (5).
     In misura minore, l'elaborazione psicanalitica di Carl Gustav Jung, ricca di riferimenti alle culture orientali, supportò la struttura mitica di numerosi film come La montagna sacra e El topo di A. Jodorowskyj (6) opppure Solaris di A.Tarkovskij (7).
     Essa funzionò da elemento catalizzatore a contatto con le opere immaginarie che contenevano qualche riferimento ai miti collettivi, mentre le teorie di Freud meglio si adattavano al teatro domestico e privato con la sua quotidiana psicopatologia.
     La fantascienza, con l'allargamento dell'orizzonte oltre i limiti individuali e il trasferimento della fantasia dello spettatore verso altri mondi, fu un'occasione propizia di contatto con la psicoanalisi. La rappresentazione dell'ignoto, infatti, stimola la psiche individuale ad intraprendere il viaggio interiore che la può condurre al ritrovamento della sua dimensione collettiva e del suo radicamento nell'archetipo universale.
     Si ricorda, per inciso, che Jung si occupò più volte nei suoi scritti e in particolare nel saggio Un mito moderno: le cose che si vedono in cielo (8) del fenomeno degli UFO e dei dischi volanti interpretandoli come rappresentazioni psichiche inconsce legate ad avvenimenti di rilevanza collettiva.
     Star Wars appartiene al genere fantascientifico? Sarebbe forse più esatto definirlo come opera di fantarealtà a causa della molteplicità di piani che compongono il suo tessuto fantastico: miti, fiabe, cicli cavallereschi, riti, tecnologie e, non ultimi, riferimenti storici.
     L'inestricabile complicazione di questi piani, appartenenti a contesti diversi e lontani nel tempo, appare da un lato come una dimostrazione parodistica della loro sincronia, secondo un procedimento analogo a quello adottato da Jung nelle sue ricerche mitologiche, dall'altro si presta all'analisi ed al ritrovamento degli schemi archetipi che strutturano questa sintesi inedita. In altre parole, la fusione di più componenti mitologiche dà come risultato una nuova mitologia i cui archetipi sono ancora gli stessi a causa della loro immutabilità. Così afferma Jung: "…lo spirito umano possiede modi di comportamento universali e tipici che corrispondono al pattern of behaviour biologico. Queste forme preesistenti, innate (archetipi) possono produrre negli individui più diversi idee o combinazioni di idee che sono praticamente identiche…" (9).
     Secondo Jung, gli archetipi sono schemi universali inconsci che precedono ogni loro rappresentazione, quasi idee platoniche che è dato cogliere soltanto attraverso il loro manifestarsi di volta in volta nei miti, nei sogni e nelle storie individuali: "…gli archetipi sono le forme e gli alvei nei quali da tempo immemorabile fluisce il fiume della vita psichica" (10).
     Formulando schematicamente il pensiero di Jung, si può dunque affermare che la somma (fusione) di due miti produce un nuovo mito sostenuto dagli stessi archetipi dei suoi componenti.
     In Star Wars Lucas sembra spingersi oltre il contorno di questo teorema, aggiungendo nella sceneggiatura, accanto ad elementi mitologici classici, altri elementi non propriamente mitologici legati all'attualità o alla storia recente come il viaggio interstellare, l'apparato tecnologico, l'abbigliamento nazista di Darth Vader o la caricaturale multietnicità metropolitana di molti personaggi.
     Questi elementi vengono attratti dalla mitologia del racconto trasferendolo in una dimensione attuale e acquisendone, a loro volta, un'aura mitica.
     A differenza del racconto storico-mitologico, dove la prospettiva storica è conservata (se non altro attraverso la ricerca filologica del costume) e dove il mito diviene attuale grazie all'interpretazione del suo contenuto drammatico, Star Wars inserisce il mito in uno scenario ricco di riferimenti all'attualità producendo pertanto una sorta di globalizzazione del tempo, nella quale le prospettive temporali dei miti evocati precipitano una sull'altra. Lo spazio-tempo in cui nuotano frammenti di miti e culture distanti migliaia di anni e di chilometri si appiattisce, come in un sogno, nel luogo-tempo unico dell'azione.
     Nell'azione si muovono gli eroi di Star Wars con fisionomie abilmente costruite attraverso tecniche cinematografiche avanzatissime. Azione e fisionomia sono gli elementi che danno loro, sullo sfondo di un mito che li domina, una consistenza storica che li rende accessibili all'identificazione da parte di ogni genere di spettatore.
     Jung operava una distinzione fra inconscio collettivo e inconscio personale: "…dobbiamo ammettere che l'inconscio contenga non soltanto elementi personali, ma anche elementi impersonali, collettivi, in forma di categorie ereditarie, o archetipi" (11).
     Se l'inconscio collettivo è caratterizzato da contenuti arcaici, archetipi, comuni a individui di ogni tempo e latitudine, l'inconscio personale riguarda le esperienze dell'esistenza individuale ed i contenuti psichici che accompagnano la personalità nella sua evoluzione storica. Ora, tenuto conto di questa distinzione e delle caratteristiche mitiche e collettive dei personaggi di Star Wars, è opportuno chiedersi quale sia la loro consistenza psicologica individuale, la loro umanità storica. Sicuramente, di una vera e propria dimensione psicologica individuale, gli eroi di Star Wars sono sprovvisti e le loro fisionomie mimano in realtà una rapsodia di atteggiamenti psicologici ricca di allusioni a sembianze, espressioni, abiti e smorfie già visti da qualche parte, in qualche film, fumetto, per la strada…ma sicuramente già visti.
     Che dire, per esempio, di Yoda, per citare un personaggio di gran rilievo in tutta la trilogia? Questo grande maestro, mostriciattolo piccolo e bonario come certi nani soccorritori delle fiabe, con occhi da monaco tibetano quando socchiusi, ma da sceriffo country se aperti sull'allievo attento ai suoi severi consigli? Quante volte l'abbiamo visto in un film western, nelle vesti del vecchio saggio del villaggio oppure del vecchio gnomo intento a preparare davanti al caminetto della sua piccola abitazione strani intrugli e pozioni?
     E di Jar Jar Binks (12), essere anfibio ma antropomorfo, tanto servizievole quanto maldestro, provvisto di grandi orecchie spioventi sulle spalle come la capigliatura di una casalinga sottomessa e di occhi periscopici emergenti sopra un naso senza una fronte che testimonia la presenza di un organo pensante in tal caso superfluo, le labbra carnose sporgenti e semiaperte in perpetuo stupore?
     Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi, la coppia di cavalieri Jedi (maestro e allievo), condensano nell'abito e nell'arma (la spada laser) le immagini del frate e del samurai, il novizio rasato, il maestro con la lunga chioma a simbolo della maggior esperienza e della distanza da colmare fra padre e figlio.
     Soltanto gli abiti del piccolo schiavo dal grande destino Anakin (13) e di sua madre Shmi (14) evocano, nel colore della terra, una semplicità primordiale e biblica (secondo Hollywood) o mediorientale che contrasta le barocche composizioni degli altri personaggi.
     Si può ancora parlare, secondo la teoria di Jung, di individualità storiche che si muovono sul più ampio teatro del mito? Si può ancora adottare la distinzione junghiana fra inconscio collettivo e inconscio individuale per cogliere l'articolazione fra contenuti mitici, certamente presenti nella trilogia, la singolarità dei personaggi e un loro presunto vissuto?
     Si può dire che l'individualità dei personaggi di Star Wars appartenga a una sorta di mito, un mito, tuttavia, che affonda solo in parte le radici negli universali archetipi, in quanto è anche il risultato di una condensazione di immagini, di riferimenti, di citazioni e di modelli che traggono consistenza e potenza espressiva da cinquant'anni di cinematografia americana e mondiale. Sull'ordito di miti antichissimi viene tessuta la trama di un immaginario recente, di un sincretismo capace dei più fantastici accostamenti e di una riedizione fiabesca di quanto l'impero americano delle immagini ha diffuso nel mondo.
     Ciò non avviene senza un'arte sorprendente; metafore, condensazioni, allusioni, inclusioni costruiscono personaggi, esseri alieni, macchine e scenari che fanno pensare talvolta alle raffigurazioni di Bosch (15) o di alcuni pittori del surreale. A tale proposito può essere interessante il riferimento all'interpretazione dei sogni di Freud, in particolare a quanto egli afferma a proposito del lavoro onirico e dei meccanismi che lo compongono. Il lavoro onirico non crea nulla di nuovo ma si limita a trasformare materiali già esistenti; tuttavia, è il lavoro del sogno e non i materiali che costituisce l'essenza del sogno.
     La condensazione è il meccanismo che ritroviamo più frequentemente anche in Star Wars. Secondo Freud, la condensazione fa sì che una rappresentazione unica rappresenti da sola varie catene di associazioni assommandone in sé le energie.
     La forza rappresentativa dei cavalieri Jedi, la cui immagine si pone all'intersezione di culture lontane ma accomunate dalla lotta del Bene contro il Male, l'innegabile suggestione delle acrobatiche fusioni fra sembianze umane, animali e tecnologiche, hanno forse radici nelle leggi del sogno; nel sogno di un regista, Lucas, ma anche in quello di un'intera collettività, quella americana e perciò nel mito; per Jung, infatti, il sogno è la versione individuale del mito e il mito è la versione collettiva del sogno; mito e sogno sono entrambi simbolici in quanto frutto della stessa dinamica della psiche (16).
     Gran parte del successo di Star Wars sta proprio in questo: Lucas è riuscito con le proprie visioni fantascientifiche a colmare la sete di mito di un'intera collettività, il suo sogno è riuscito ad interpretare il sogno della società americana.





     Note:

(1) Alfred Hitchcock, (GB 1899-1980).
(2) Spellbound (USA 1945). Dal romanzo The House of Dr. Edwards di Francis Beeding sceneggiato da Ben Hecht e Angus McPhail. Un giovane medico assume la direzione di una clinica psichiatrica, ma presto si scopre che è un amnesiaco impostore, probabile assassino del vero dottor Edwards.
(3) Vertigo (USA 1958). Un investigatore che soffre di vertigini sorveglia la moglie di un amico e se ne innamora perdutamente. Lei si butta da un campanile. Dopo qualche tempo lui incontra la sua sosia. Dal romanzo D'entre les morts (1954) di Pierre Boileau e Thomas Narcejac.
(4) Psycho (USA 1960). Fuggita con i soldi del suo principale, una giovane donna si ferma a un motel solitario vicino a Phoenix (Arizona) e viene uccisa a coltellate sotto la doccia. Chi è l'assassino: il giovane proprietario o sua madre? Dopo la scomparsa di un investigatore da loro assunto, la sorella e il fidanzato indagano.
(5) Woody Allen, (USA 1935). Vedi film come Celebrity (USA 1998), Everything You Always Wanted to Know About Sex (But Were Afraid to Ask) (USA 1972) in it. Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere oppure Zelig (USA 1983).
(6) Jodorowsky, Alejandro (Cile, 1932). The Holy Mountain (USA-Mex. 1973): in una emblematica nazione latino-americana, repressa e sottosviluppata, un giovane ladro e nove potenti ricorrono a un alchimista perché li faccia partecipi del segreto dell'immortalità. Devono raggiungere nove saggi che da tremila anni vivono in cima a una mitica montagna. El topo (Mex. 1971): spinto da una donna ambiziosa, El topo (in it."la talpa") corre nel deserto per uccidere i Quattro Maestri e dimostrare che lui è Il Più Grande.
(7) Andrej Tarkovskij, (ex-URSS, 1932-1986). Solaris (URSS 1971): Uno psicosociologo arriva sulla stazione spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris per indagare sui misteriosi fenomeni che vi avvengono e che coinvolgono gli scienziati a bordo: su Solaris c'è un oceano che pensa. Dal romanzo (1961) del polacco Stanislaw Lem, eminente fautore della problematica del dubbio nella fantascienza, il film di A. Tarkovskij è un'avventura della coscienza più che della conoscenza, un'opera di fantacoscienza (C. Cosulich) in cui il cosmo corrisponde al subconscio umano.
(8) C. G. Jung, Un mito moderno: le cose che si vedono in cielo, in Civiltà in transizione, Boringhieri, Torino 1958.
(9) C. G. Jung, La libido: simboli e trasformazioni, Boringhieri, Torino 1965, p.307.
(10) Ibid., p. 228.
(11) C. G. Jung, L'io e l'inconscio, Boringhieri, Torino 1948, p. 30.
(12) Personaggio totalmente realizzato in computergrafica cui ha dato voce e movenze l'attore Ahmed Best. Appare in Episodio I: La minaccia fantasma del 1999.
(13) Come appare nel primo capitolo della seconda trilogia dove viene interpretato dal giovane attore Jake Lloyd.
(14) Vedi nota precedente, interpretata dall'attrice di teatro Pernilla August.
(15) Bosch (Hieronymus o Jheronimus), pittore olandese (Boscoducale 1450 circa, 1516). Genio visionario, popolò i suoi quadri di esseri bizzarri e fantastici, figurine profilate con sottile ironia, trasfigurate dalla seduzione dei colori, come istantanee scattate nel mondo dei sogni.
(16) C. G. Jung, citato da J. Campbell, L'eroe dai mille volti, cit., pag. 24.





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