|
Guerre Stellari: dal sogno di una galassia lontana lontana alla premonizione di un futuro digitale
Star Wars e i videogames
 |
di Marco Consoli |
 |
Cinema e videogame, uniti sotto lo stesso cielo tecnologico.
Alle origini dell'entertainment.
Un ragazzotto a zonzo per la città entra in un locale attirato da una piccola folla vociante.
Dietro a un bancone, su cui campeggia la scritta "cambio monete", un omaccione barbuto osserva gli avventori incuriositi dall'ultimo ritrovato della modernità. Lungo una parete una fila di macchine mai viste prima: una gettoniera per inserire gli spiccioli, una leva da agitare vorticosamente, un visore aperto su mondi finora inesplorati. Il giovane ne individua una libera e, pescata una moneta nella tasca dei calzoni, decide di provarla. Immagini strabilianti, generate non si sa come, scorrono davanti ai suoi occhi seguendo il movimento della leva. Ne rimane talmente affascinato che non riuscirà più a staccarsene.
Forse l'anno è il 1891 o giù di lì, e la macchina è il cinetoscopio (1) o un suo parente prossimo, antichi progenitori del cinematografo; o forse è il più recente 1971 e la diavoleria è un arcade (2), primo videogioco da sala, antenato delle moderne console e dei "superaccessoriati" Personal Computer (PC).
A distanza di ottant'anni, in maniera piuttosto simile, il cinema e i videogiochi fanno il loro ingresso nella Storia, protagonisti delle rispettive epoche: espressioni dell'entertainment (l'intrattenimento inteso all'americana) destinate a percorrere strade parallele, speculari, sicuramente concorrenziali, prima di giungere all'inevitabile incontro/confronto cui stiamo assistendo oggi.
Lo sconfinamento che ci apprestiamo quindi a iniziare in territorio videoludico, nell'ambito di un'opera dedicata a Guerre Stellari e al suo creatore George Lucas, trova giustificazione principale nell'attualità del tema.
Sono infatti almeno tre i punti di contatto fondamentali (3) tra videogioco e cinema su cui vale la pena soffermarsi.
Verso un moloch di silicio e celluloide
Il primo, e non potrebbe essere altrimenti, è quello relativo all'aspetto commerciale e industriale. Dapprima naturalmente ostili e concorrenti, le rispettive industrie si sono nel corso del tempo avvicinate sempre più, fino a congiungersi definitivamente negli anni '90. Hollywood e Silicon Valley si sono ormai fuse in un unico moloch di celluloide e silicio, che ha dato origine a un numero sempre crescente di ibridazioni sotto l'insegna di Siliwood, nuova fucina del divertimento di fine millennio.
Ormai non si contano più le multinazionali del cinema riconvertite al digitale e al multimediale, né si possono seguire gli intrecci tra case distributrici di film e di software. La connessione tra il mondo del racconto per immagini e quello delle immagini interattive ha raggiunto un punto tale di profondità che oggi ci si meraviglia che il blockbuster dell'anno non generi un'appendice videoludica e non il contrario; o che il tal videogame di successo non scateni una corsa all'accaparramento della licenza di sfruttamento. In realtà se la seconda ipotesi non si avvera è perché ogni major che si rispetti ha ormai aperto nel suo organigramma una divisione multimediale (4), che si dedica a tempo pieno a tradurre in esperienza di gioco quanto proposto su grande schermo.
L'esempio forse più significativo, nell'ambito delle importanti società produttrici di cinema di questi tempi, è costituito dalla Dreamworks di Spielberg, Katzenberg e Geffen. Già a partire dalla diversa estrazione dei suoi azionisti di maggioranza (5) si può intuire come la "fabbrica dei sogni" sia fin dall'origine una società con vocazione interdisciplinare: un'azienda moderna in grado di muoversi a trecentosessanta gradi nel panorama dell'entertainment, producendo film, serial televisivi, dischi e naturalmente videogiochi.
Alla ricerca del Reale e del Meraviglioso
Anche se molto giovane, la società che da tutti viene identificata con il regista di Schindler's List ha già al suo attivo più di una decina di film e, ciò che a noi più interessa, almeno un paio di videogame: Trespasser e Small Soldiers Squad Commander. In particolare il primo deve essere approfondito, perché si tratta di un gioco che, anche se non ha rivoluzionato il settore, tuttavia è riuscito a esplorare confini finora sconosciuti dello sparatutto 3D (6), genere in voga fin dall'exploit di Wolfenstein 3D e ancor più imitato dopo l'uscita di Doom. Sembra trascorsa un'eternità dall'entrata in scena di quei titoli: in sei anni che per l'industria informatica sono equiparabili almeno a una trentina d'anni "normali", tale è la velocità del progresso tecnologico si sono succeduti centinaia di cloni di quegli archetipi.
Rispetto agli innumerevoli predecessori tuttavia Trespasser presenta una novità determinante. Messo da parte l'interesse per il tipico concetto "cerca di sopravvivere, mentre spari a tutto ciò che si muove", i programmatori si sono dedicati a tentare di replicare la fisica delle cose nel mondo virtuale creato. Intendiamoci, la fisica di base è presente anche negli altri giochi la forza di gravità o la forza centrifuga esistono e vengono applicate all'alter ego del giocatore ma di solito viene resa più elastica per facilitare la giocabilità: chi potrebbe pensare davvero di compiere i salti chilometrici di certi sparatutto nella realta? In Trespasser invece ogni azione del personaggio costa fatica: camminare e saltare sono azioni spossanti (7), perché ciò che conta è tradurre in termini d'interazione realistica quella che già su grande schermo era un'avventura finzionale. Ci riferiamo naturalmente a Jurassic Park, il film-parco delle meraviglie di Re Mida Spielberg, che ha aperto nuovi orizzonti all'uso di effetti digitali e che ispira questo prolungamento multimediale: nei panni di una ragazza (8) sopravvissuta a un incidente aereo, ma malauguratamente caduta nel Sito B abbandonato, bisogna sopravvivere esplorando questo mondo perduto in preda alle più varie specie di dinosauri.
Ciò che ci interessa qui evidenziare è che, nel tentativo di aggiungere un valore all'esperienza cinematografica, i programmatori procedono in questo caso (e in genere) in senso opposto a quanto fa l'ultima generazione di filmakers: dove il cinema è alla continua ricerca dell'ampliamento dei confini del Meraviglioso e dell'Incredibile attraverso gli effetti digitali, il videogioco cerca invece di recuperarsi al Reale, di rendere l'esperienza credibile adoperando i microprocessori per spaventosi calcoli di enormi ambienti tridimensionali: il punto di contatto di tale percorso speculare e opposto è il computer (9).
Al centro dunque un chip sempre più potente, capace di un numero crescente di calcoli, e ai suoi lati le due industrie, da esso attirate nel tentativo di rincorrersi vicendevolmente: quella del cinema alla ricerca di percorsi estetici sempre più in linea con i gusti degli spettatori (influenzati dai videogame), quella videoludica nel tentativo di coprire il vuoto di realtà (e narrazione) che dalle origini lo ha caratterizzato e che solo i film sembrano in grado di colmare.
Si spiega dunque perché esse tendano sempre più a divenire i poli di un'unica realtà industriale, semplice e complessa, che ha come unico fine quello di accaparrarsi la preferenza (e il denaro) di milioni di cinefili e videogiocatori.
Due platee, un unico pubblico
Tali categorie oggi sono molto più vicine. Lo dimostrano l'età media dei fruitori di cinema e videogame, sempre più tendente a coincidere, e l'orientamento delle rispettive industrie (o dell'unica industria?) a corteggiarsi in maniera crescente. Così è in cantiere uno smisurato numero di film tratti da videogiochi di successo (10) da Tomb Raider a Duke Nukem fino a Resident Evil, che vedrà il ritorno del mago dell'horror George Romero come ormai non si conta più la quantità delle conversioni ufficiali da pellicola a videogame (Die Hard, Alien Resurrection, Star Trek, Indiana Jones, Tarzan ecc.). Ad osservare bene questo panorama di byte e celluloide pare dunque potersi rilevare che ormai una sola grande industria realizza un unico prodotto per un pubblico sempre più vasto.
Affinità produttive e classificatorie
Naturalmente quello commerciale è solo uno degli elementi di congiunzione tra due mondi che alimentano la naturale fascinazione dell'essere umano per le immagini.
Il secondo punto di contatto aspetto che ci interessa analizzare, allo scopo di evidenziare un ulteriore comunione tra cinema e videogioco, è quello produttivo-tecnico nonché contenutistico-classificatorio. Dapprima vorremmo evidenziare come la produzione del film e del gioco avvenga attraverso momenti e mediante figure professionali nella maggior parte dei casi coincidenti o quanto meno simili. Quindi allargheremo il discorso a un'analisi dei generi, per vedere come una riflessione su di essi assuma enorme importanza per entrambi gli oggetti della questione e per cercare di capire attraverso quali categorie i due mondi possano effettivamente comunicare. Ma procediamo con ordine.
Se è innegabile, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico, che film e videogioco sono destinati a una fruizione attuabile mediante uno schermo e la vista di chi vi si pone innanzi, non possiamo che raccogliere l'immediata conferma che entrambi scaturiscono dalla medesima unità base imprescindibile: l'inquadratura, cioè la porzione di spazio rappresentata. Spiegheremo più avanti a quali classificazioni porti la diversa scelta stilistica dell'inquadratura o della visuale in ambito videoludico. Concentriamoci invece ora sull'analisi dei tre momenti fondamentali (11) della realizzazione del film e evidenziamo le affinità con quelli del videogame. I tre stadi della creazione di una pellicola sono individuabili nella fase di preparazione del film (pre-produzione), in quella delle riprese (produzione) e in quella finale di assemblaggio (post-produzione).
Dall'idea allo storyboard
All'origine della prima fase c'è l'idea. Un film non nasce senza un'idea
che, nella maggior parte dei casi, corrisponde a un sentimento incrollabile
di fede da parte di un regista o di un produttore in un progetto da portare
avanti. Naturale che la diversa provenienza della stessa sia sintomatica di
un differente approccio e bisogno rispetto all'esigenza del fare cinema: se
il regista nutre un'aspirazione artistica che spesso si traduce sullo
schermo in un prodotto personale, scarsamente preoccupato di incontrare il
gusto dei potenziali spettatori, il produttore viceversa ha come cruccio
principale l'aspetto economico, dato che per lui realizzare un film è un
mezzo per investire e quindi guadagnare denaro. Di conseguenza, salvo rari
casi, le pellicole promosse dai boss degli studios sono maggiormente
ispirate dalle ricerche di marketing più che da un'irrefrenabile esigenza
espressiva.
La medesima cosa avviene nell'industria dei videogiochi: da una parte
abbiamo i prodotti frutto dell'inventiva di abili game designer, in tutto e
per tutto paragonabili agli autori cinematografici e in grado, come i
celeberrimi Sid Meier (Sim City) o Chris Roberts (Wing Commander) giusto
per citarne alcuni, di dare un'impronta inconfondibile ai propri giochi;
dall'altra le società di produzione multimediale che, svolta
l'indispensabile ricerca di mercato, decidono di affidare a impeccabili
esecutori informatici la realizzazione dell'ipotetico dominatore del
mercato, a volte fallendo clamorosamente altre volte centrando il successo
dell'anno (12).
Una volta che il progetto viene approvato si passa all'altro più importante
atto della prima fase, quello della sceneggiatura. In questo momento è
necessario sviluppare l'idea del film attraverso una descrizione
dettagliata e meticolosa dei personaggi, degli eventi e dei dialoghi, che
costituisce una lavorazione preliminare in grado di fornire una
rappresentazione su carta dell'intera opera. Spesso alla narrazione
mediante le parole se ne accompagna una per immagini: si tratta dei disegni
che vanno a comporre lo storyboard, un trattamento in grado di anticipare
le singole inquadrature e i movimenti che la macchina da presa dovrà
compiere sequenza per sequenza. È significativo che tale strumento di
visualizzazione su carta del film, nato all'epoca delle riprese nei grandi
teatri di posa delle Major (13) e successivamente tramontato quando le stesse
furono trasferite nelle strade, sia tornato in auge nell'era degli effetti
speciali: l'esigenza di costruire l'immagine finale come unione di più
filmati eseguiti in momenti diversi quelli degli attori, dei modellini,
dei fondali, ecc. ha fatto si che lo storyboard serva da promemoria per
il momento delle riprese, evitando così per esempio che un attore si trovi
a occupare nel quadro la posizione in cui poi deve essere posizionata una
creatura in grafica computerizzata.
Da tale considerazione si può facilmente dedurre come nello sviluppo di un
videogame, che non è altro che un lunghissimo special effect adattato a
gioco, uno storyboard non manchi mai. Non che sia assente del tutto la
figura di uno sceneggiatore la sua presenza dipende dalla profondità
narrativa del prodotto ma solo la visualizzazione per immagini risulta
davvero indispensabile, perché risponde a un preciso scopo: quello di
stabilire in modo inequivocabile le inquadrature che dovranno essere
riprodotte sullo schermo, dato che non si arriverà mai a girare dal vero
(se non nel caso di integrazione di filmati). In realtà lo storyboard di un
videogioco nella maggior parte dei casi riguarda solo le scenografie dello
stesso, cioè gli ambienti in cui si dovranno muovere personaggi creati a
parte. Infatti salvo il caso delle sequenze di introduzione o collegamento
tra una fase interattiva e l'altra, per le quali si lavora come ad un vero
e proprio film d'animazione (14), il resto della sceneggiatura per immagini
riguarda solo i fondali su cui si svolgerà successivamente l'azione, si
tratti di disegni bidimensionali o di ambienti tridimensionali. Nelle mani
del regista-giocatore il personaggio si troverà poi a calcare le scene:
ecco il senso vero dell'interazione che solo il videogioco può dare.
CIAK, azione
La seconda e preminente fase nella realizzazione di un lungometraggio è
quella delle riprese. Volendo banalizzare il processo ai suoi elementi
irrinunciabili, in questo stadio abbiamo un regista il quale è chiamato a
dirigere degli attori che si muovono di fronte a una macchina da presa,
seguendo la stesura del racconto precedentemente cristallizzata nella
sceneggiatura. Tutto ruota attorno al regista, il quale si avvale di una
moltitudine di collaboratori che cercano di aiutarlo a trasferire su
pellicola la sua idea del film.
Naturalmente nulla di tutto ciò avviene nel processo di creazione del
videogioco, e per quei motivi attinenti all'immaterialità del prodotto
stesso per cui nulla accade nella realtà, non ci sono attori, non c'è un
set, niente luci e così via. Ciò però non significa che qui manchi una fase
centrale in cui si mette in atto il concetto di gioco in principio
abbozzato: il lavorio in questo caso riguarda svariate figure di
informatici, tra cui programmatori, grafici, animatori che si dedicano
ciascuno a un singolo aspetto del programma dal concepimento del software
d'installazione, alla creazione degli ambienti di gioco, alla modellazione
dei personaggi tutti lavoratori comunque sottoposti a dei capi progetto.
Questi altro non sono che degli assistenti per il game designer e
ricoprono, ciascuno con lo specifico settore di competenza e con il compito
di sgravarlo da tutta una serie di fastidi relativi agli aspetti più
specificamente tecnici del lavoro, la medesima funzione di coloro che
coadiuvano il regista. Costui e il game designer restano dunque padroni
pressoché assoluti dei rispettivi processi.
L'occhio e l'inquadratura
Al di là di questo efficace parallelo, l'elemento di questa fase su cui si
vuole maggiormente porre l'attenzione è l'inquadratura (15). Essa, abbiamo
detto, è l'unità base del film e lo stesso vale per il videogioco. Ciò che
interessa discutere è però il suo significato, ciò che essa esprime nei
confronti dello spettatore/giocatore. Banalizzando per necessità il
discorso arriviamo a distinguerne due significati: se nella maggior parte
dei casi essa esprime l'oggettività del racconto, quella del narratore, in
altri casi essa diventa soggettiva, venendo a coincidere con il punto di
vista di uno dei personaggi.
Ora come l'esperienza ci insegna non è pensabile realizzare un
lungometraggio interamente in soggettiva, e i pochi coraggiosi tentativi in
tal senso hanno clamorosamente fallito (16) per una totale mancanza del
processo d'immedesimazione spettatore-protagonista. Eppure per i
videogiochi tale escamotage funziona in maniera straordinaria (17).
Proprio in relazione al diverso utilizzo nel videogioco dell'inquadratura,
si può operare una classificazione dei giochi stessi in base alla visuale
offerta al giocatore, per tentare di capire quali tra essi si avvicinino
maggiormente al racconto cinematografico. La visuale in un videogame può
essere basilarmente, e scartando tutte le ipotesi di commistione, di tre
tipi.
La prima è quella esterna, accomunabile agli arcade in genere, sia di prima
che di recente generazione. Si tratta pur sempre di un'oggettiva, dove la
macchina da presa virtuale (e assolutamente invisibile al giocatore)
riprende azioni di gioco caratterizzate dallo scarso spessore narrativo o
addirittura scacchiere fittizie. Una sessione di gioco a Pacman, Mortal
Kombat o Command & Conquer non implica nessun altro interesse se non quello
della propria sopravvivenza e dell'annientamento degli avversari digitali.
Poca riflessione e molta azione dunque e una trama lasciata per intero
all'immaginazione del giocatore. In linea di principio una visuale di
questo tipo non esclude una qualche assimilazione al cinema lo dimostra
il fatto che i primi film ispirati ai videogiochi siano stati SuperMario
Bros., Street Fighter e appunto Mortak Kombat ma caratterizza comunque
giochi rispetto ai quali il giocatore scarsamente percepisce un legame con
il cinema stesso.
Il secondo tipo di visuale è la soggettiva, in cui l'inquadratura coincide
con lo sguardo del giocatore. Inizialmente utilizzata per accrescere
l'immedesimazione delle simulazioni non narrative sia quelle sportive
come la guida di una Formula 1 sia quelle del volo essa si è poi estesa a
giochi d'esplorazione e avventura: dapprima con la riproduzione
bidimensionale del campo visivo del giocatore (il caso più classico è
quello di videogame in stile Myst), quindi con la ben più efficace
imitazione delle tre dimensioni. Questa seconda e più lucrativa strada ha
finito per caratterizzare un genere, quello dello sparatutto 3D, che fin
dalla sua nascita ha sempre oscillato tra una tendenza all'azzeramento
narrativo Doom e Quake in cui lo stimolo maggiore era quello di fare una
carneficina e il tentativo di realizzare ciò che al cinema risulta
impossibile, ovvero costruire una sorta di film in soggettiva (dal primo
tentativo di Duke Nukem 3D al capolavoro di Halflife). Presa a sé comunque
questo tipo di visuale non ha nulla di veramente cinematografico: se non ci
fossero una trama sviluppata attraverso spezzoni in oggettiva, come nel
caso di Myst, o altri espedienti che comunque rivelano un intervento
esterno alla volontà del giocatore per esempio un personaggio che compie
una data azione, come accade in Halflife ciò che deriverebbe da un gioco
in soggettiva sarebbe il massimo in termini d'interazione ma il minimo
quanto a possibilità d'accostamento al film.
Infine la terza visuale possibile è quella oggettiva, chiaramente
riferibile al cinema. È l'inquadratura tipica delle avventure, giochi nati
con l'intento vero e proprio di proporre racconti interattivi. Qui la
macchina da presa virtuale riprende un mondo in cui il giocatore muove il
proprio alter ego al dipanamento di una matassa, secondo un classico schema
ordine-disordine-ordine. In alcuni casi essa è invisibile, e si tratta per
lo più delle avventure bidimensionali (Monkey Island o Leisure Suit Larry),
in altri essa si rivela richiamando chiaramente uno stile cinematografico
(è il caso di Alone in the dark ma anche del più celebre Tomb Raider, che
si differenziano solamente per il fatto di essere l'uno basato su ambienti
precalcolati e l'altro su scenari gestiti in tempo reale dal computer).
Null'altro da dire su questo tipo di visuale: essa è l'anello di
congiunzione tra il cinema e il videogame, in questo caso strutturato come
vero e proprio film interattivo.
L'ultima notazione riguarda il frequente utilizzo nei videogiochi,
soprattutto dopo l'entrata in scena del CD come supporto per immagazzinare
un'enorme mole di dati, di sequenze, reali o interamente realizzate in
digitale. Questo tipo di scelta indica la chiara volontà da parte dei
programmatori di ancorare il gioco al cinema, inteso come arte narrativa ed
evocativa per eccellenza. La sola interazione il più delle volte non basta
a catturare il giocatore.
La post-produzione: proiezioni pilota e beta testing
Superata la fase delle riprese si entra in quella definitiva
dell'assemblaggio o post-produzione. È molto facile qui costruire un
parallelo tra quanto avviene nella realizzazione di un film e in quella di
un videogioco, perché l'attività di "taglio e cucito" della pellicola in
fase di montaggio può essere paragonata a quella di unione dei vari pezzi
di codice che andranno a comporre il gioco. Lo stesso può dirsi per
l'impiego della musica, dal momento che gli artisti delle sette note
agiscono proprio in questa fase nel cercare di adattare le loro
composizioni alle immagini. L'aspetto che vogliamo però approfondire, e
cioè quello del collaudo del prodotto, è un aspetto singolare che si svolge
in entrambi i casi ma con un'organizzazione totalmente diversa.
È notorio che le grandi compagnie di Hollywood eseguono delle vere e
proprie verifiche preliminari di gradimento sui propri film, affidando a un
ristretto pubblico rappresentativo di quello più vasto dei cinefili il
giudizio sul prodotto finito. Esaminate le dettagliate schede di
valutazione che queste cavie sono chiamate a compilare dopo la visione, i
produttori possono decidere di mettere mano al film, rimontando delle parti
o cambiando addirittura il finale (18). La medesima tecnica viene adottata
nella produzione dei videogiochi, anche se in modo molto più sistematico.
In realtà le persone che per l'industria cinematografica sono cavie
noleggiate occasionalmente per giudicare il film, per quella dei videogame
sono veri e propri dipendenti che svolgono le mansioni di testers
(testatori) del prodotto. A dir la verità il collaudo riguarda non solo gli
aspetti globali del gioco, l'efficacia dell'aspetto grafico o della
storia (19), ma soprattutto quelli tecnici: decine di persone vengono messe
a giocare giorno e notte per scovare i cosiddetti bug (20) (errori) del
codice di programmazione (21). È come se un pubblico di esperti fosse
rinchiuso in una sala a rivedere lo stesso film più e più volte, non solo
per giudicarne la riuscita complessiva, ma anche per rinvenire gli errori,
dai più grossolani come l'entrata in scena di un microfono, a quelli di
logica del film come l'apparizione e sparizione di un oggetto attraverso le
diverse inquadrature che compongono la sequenza. A dir la verità un lavoro
del genere, almeno per quest'ultimo tipo di magagne, viene svolto al cinema
da una figura professionale precisa: la segretaria di edizione. Ecco quindi
che anche per quanto attiene al controllo sul buon esito del prodotto
finale l'industria dei videogiochi sembra procedere secondo tecniche affini
a quella del cinema. Certo però che tali strumenti paiono maggiormente
affinati.
Categorie e generi, terra di confine
Altro importante terreno d'incontro tra i due mezzi d'intrattenimento è
sicuramente quello dei generi. Essi costituiscono, fin dall'origine del
cinema, delle ampie categorie attraverso le quali classificare ogni
prodotto in base al suo contenuto. Sviluppatisi al principio in maniera
molto semplice, per accorpamento dei primi film alle figure archetipiche
(drammatico e comico), nel corso degli anni i generi sono aumentati a
dismisura. Lo scopo è stato anzitutto di carattere commerciale, perché il
fatto di poter distinguere in maniera netta un genere da un altro poteva
consentire una scelta consapevole del pubblico (22). Solo successivamente i
generi sono stati utili alla speculazione critica; nonostante ciò essi
costituiscono uno dei preminenti criteri di selezione di chi va a cinema
ancor oggi.
Un discorso analogo si può fare naturalmente per l'industria dei
videogiochi. In particolare ci interessa qui analizzare brevemente i generi
codificati (23) per tentare di evidenziare delle analogie con quelli
cinematografici (24).
Azione: è l'unica grande categoria che può ricomprendere al suo interno
svariati generi o sottogeneri, dal gioco di piattaforme allo sparatutto a
due o tre dimensioni. Come per l'azione al cinema, anch'essa prediletta da
un vasto pubblico, si tratta di un ordine superiore che riunisce tutti i
videogame (e i film) basati in qualche modo sul movimento. È il grande
spazio in cui cinema e videogioco finiscono per abbracciarsi. Nei giochi
appartenenti a questa categoria vengono adoperate sia la visuale oggettiva
che in prima persona.
Avventura: è il genere più celebre e quello più cinematografico. Muovendo
il proprio alter ego all'interno di un mondo virtuale bisogna risolvere una
serie di puzzle per avanzare nella storia. Per questa categoria di giochi
viene spesso adoperata l'espressione di cinema interattivo. Esistono sia
avventure in soggettiva che in oggettiva e, da Tomb Raider in poi, anche
tridimensionali.
Simulazione: tutti i giochi sono simulazioni di qualcosa, ma "quel che
contraddistingue la categoria è la simulazione come fine in sé, anziché
come mezzo per raggiungere un fine..." (25). Rientrano nel genere sia quei
giochi che riproducono un'esperienza in prima persona il volo piuttosto
che la corsa di Formula 1 sia quelli che ricreano un mondo, un ambiente
in cui spesso il giocatore è chiamato ricoprire il ruolo di amministratore,
di una città (Sim City) piuttosto che di un parco di divertimenti (Theme
Park). Né il primo tipo, interamente in soggettiva, né il secondo, in cui
dominano l'oggettiva e la panoramica hanno alcun legame con il cinema: a
contare non è la trama, quanto le regole della simulazione.
Strategia: il quarto e ultimo grande genere è anche quello più astratto.
Come in una partita a scacchi lo scopo è quello di sopraffare l'avversario,
sia esso lo stesso computer o un amico collegato in rete. In tempo reale o
a turni, in due o tre dimensioni, i giochi di strategia si basano pur
sempre su un numero limitato di azioni, ben riassunte dal titolo di un
celebre videogame: Command & Conquer, ovvero comanda e conquista. Quasi
sempre realizzati in oggettiva, molte volte con inquadratura a volo
d'uccello, tali giochi traggono scarsa ispirazione dal cinema e altrettanto
scarsamente ricambiano.
Esistono infine altri generi minori, che si possono far risalire a quelli
principali, visto che ne costituiscono un'ulteriore specificazione: se non
ampliamo il discorso sul picchiaduro (Tekken), il rompicapo (Tetris), lo
sportivo (Fifa '99), il gioco di piattaforme (Super Mario Bros.) o il gioco di ruolo (Quest for glory) è perché nessuno di essi tranne forse
l'ultimo, comunque assimilabile all'avventura ha a che spartire alcunché
con il cinema.
Dal discorso sui generi possiamo ricavare due importanti segnali. Anzitutto
che l'avvicinamento tra i diversi media avviene nel comune territorio
dell'azione: gli adoratori di questa categoria infatti coincidono si
tratta soprattutto dei giovani maschi tra i 10 e i 30 anni fatto che
spesso finisce per condizionare le scelte strategiche delle rispettive
industrie. Ecco dunque spiegata la recente tendenza hollywoodiana a
produrre film d'azione dal montaggio sempre più frenetico, e il cui stile
non a caso richiama quello dei videogame. In secondo luogo ci preme
affermare come sia l'avventura l'unico genere davvero in sintonia col
cinema. Se in tutti gli altri casi gli echi cinematografici derivano in
maniera indiretta e allusiva, nel caso dell'avventura il legame diviene
forte, diretto, sostanziale.
L'uomo che guardò nel futuro
Veniamo dunque al terzo e ultimo punto di contatto tra cinema e videogame,
sicuramente il più importante quanto all'analisi dell'interazione tra tali
media nell'ambito di quest'opera dedicata a Guerre Stellari e al suo
regista.
Com'è noto George Lucas, oltre ad essere un regista di fama planetaria, è
anche (e forse soprattutto) un fantasioso artigiano dalle sconfinate
capacità e vedute imprenditoriali. Scorrendo il suo curriculum si può
facilmente notare come il numero delle aziende da lui fondate a partire dal
fatidico 1977 superi di gran lunga quello dei film diretti. Oltretutto tali
società, venendo a operare in settori in precedenza pressoché inesplorati,
hanno conquistato riconoscimenti e potere economico che le
contraddistinguono a tutt'oggi come leader del mercato dell'entertainment.
La Lucasfilm e la Industrial Light + Magic sono nate contestualmente alla
realizzazione di Guerre Stellari, come tentativo di affermazione della
cultura degli special effects nella Hollywood tecnologicamente stantia di
fine anni '70. Poi altre ditte-costola, provenienti da quell'esperienza e
volte all'esplorazione pionieristica di ulteriori aspetti del cinema
Rollercoaster (26), in particolare del suono: così nascono THX e Skywalker
Sound, incorporate come le consorelle nello Skywalker Ranch, sorta di
hacienda a conduzione familiare e artigianale contrapposta all'industria
ufficiale hollywoodiana e situata a San Rafael in California.
Nel 1982 poi per altra felice scommessa di Lucas, il quale intuisce lo
straordinario sviluppo futuro del settore videoludico, nasce Lucasfilm
Games. È l'embrione della LucasArts, divenuta oggi una delle più affermate
case di produzione di videogiochi, celebrata sia dal pubblico che dalla
critica per il suo stile inconfondibile, capace in questi anni non solo di
sfruttare le royalties cinematografiche del suo padre padrone, ma anche di
inventare nuove storie e personaggi in grado di entrare nell'immaginario
del popolo del joystick almeno quanto Luke Skywalker, Han Solo e Indiana
Jones hanno fatto con i cinefili.
Appare dunque evidente alla fine di questa lunga esplorazione della terra
di mezzo tra cinema e videogiochi intesi come industrie, mezzi espressivi
nonché strumenti di intrattenimento che il confine si è progressivamente
assottigliato, fino ad annientarsi del tutto in alcuni casi. Quello
riguardante George Lucas rappresenta l'esempio principale. Un esempio
talmente esplicativo degli scenari odierni che chi guardi al settore
dell'entertainment oggi non può non riscontrare un evidente verosimiglianza
dello stesso con lo Skywalker Ranch: un enorme casa-laboratorio in cui
cineasti, ingegneri degli effetti speciali, designer di videogiochi
lavorano a stretto contatto sotto l'egida della tecnologia, vero leit motiv
del passaggio al terzo millennio.
LucasArts, dalla fondazione all'Impero
Un indizio tra le righe
All'interno della base ribelle il generale Dodonna illustra ai piloti il
piano d'attacco alla Morte Nera.
Generale Dodonna (27):
"...Da un esame dei piani forniti dalla principessa
Leila, abbiamo scoperto che esiste un punto debole nella stazione di
guerra. Non vi sarà facile avvicinarvi; dovrete infilarvi dentro questo
canale e sfiorarne la superficie fino a questo punto. La zona da attaccare
è larga due metri soltanto: è una piccola luce di scarico termico proprio
sotto lo scarico principale. Il condotto porta direttamente al reattore di
propulsione. Un colpo preciso provocherà una reazione a catena che dovrebbe
distruggere la stazione. Soltanto un colpo preciso darà il via alla
reazione a catena: il condotto è a prova di laser, quindi dovrete usare i
siluri ai protoni..."
Wedge Antilles (28):
"No è impossibile, anche per un computer!"
Luke Skywalker:
"Ma no, non è impossibile: io a casa sparavo ai topiraghi dal mio T-16 e li colpivo... e sono poco più grandi di due metri".
Di cosa sta veramente parlando Luke, in questo passo decisivo di Guerre Stellari, poco prima della battaglia finale di Yavin? Ovviamente di un
videogioco! Cos'altro potrebbero essere i topiraghi se non creature di un
videogame che un ragazzino si è allenato a sterminare sul monitor di un bar
di periferia? Chi può infatti riuscire nell'impresa in cui persino il
calcolatore si rivelerebbe inadatto, se non colui che è abituato a
stracciare un computer giornalmente e risiede ormai nella Hall of Fame (29)
dell'arcade sotto casa?
Anche se la storia ufficiale racconta di grossi roditori carnivori presi a
colpi di laser dagli abitanti del sabbioso Tatooine, siamo portati a
credere che in queste poche ma significative righe di dialogo George Lucas
abbia (in)volontariamente scoperto le carte: proprio per rendere
interattiva l'avventura del canalone della Morte Nera, per annullare la
distanza tra spettatore e vicenda narrata, egli fonda in un periodo non
certamente tranquillo siamo nel 1982, in fase di produzione di Il ritorno
dello Jedi la Lucasfilm Games. Ancora una volta Lucas ha saputo guardare
nel futuro.
Primi passi
Tra le più affermate aziende videoludiche d'oggi, LucasArts nasce con il
nome di Lucasfilm Games nel 1982. In realtà però la sua storia come
distributrice dei propri giochi comincia solo cinque anni più tardi. Fino
al 1986 infatti l'azienda, che sta tentando di orientarsi in un mercato
assai complesso, soggetto a clamorose fasi d'espansione ma ad altrettanto
eclatanti momenti di crisi (30), sviluppa videogame che vengono pubblicati
da altre case: nascono così tra gli altri il gioco sportivo futuristico
BallBlazer o il simulatore di volo spaziale Rescue on Fractalus, titoli
ormai relegati nel dimenticatoio videoludico, grazie ai quali però i primi
sviluppatori intuiscono quale sia il potenziale proprio e del mercato.
Capacità che emergono nel 1987, quando i programmatori della casa di San
Rafael rivoluzionano il genere dell'avventura fino ad allora imperniato
su un'interfaccia facente esclusivo affidamento sulla tastiera (31)
inventando per Maniac Mansion il nuovo motore di gioco SCUMM, basato sul
più comodo utilizzo del mouse (32). Il gioco, entrato ben presto nel Mito,
cala il giocatore nei panni di alcuni studenti accorsi per salvare la
ragazza pompon prediletta dalle grinfie di uno scienziato pazzo
asserragliato in una magione vittoriana. Il successo è tale che la
storiella approda di lì a poco in televisione.
L'anno seguente è il turno di Zak McKracken & the Alien Mindbenders, altra
avventura basata sullo SCUMM e imperniata sul giornalista Zak, il quale
scopre una cospirazione degli alieni per rendere l'umanità
irrimediabilmente stupida. I caratteri bizzarri e un intreccio demenziale
lanciano il nuovo gioco all'apice delle vendite. Sempre nel 1988 Lucasfilm
affronta con Battlehawks 1942 un genere, quello della simulazione di volo
bellica, che le darà parecchie soddisfazioni ma che presto abbandonerà.
Nel 1989 la prima svolta decisiva: con Indiana Jones e l'ultima crociata
viene inaugurato il filone dei giochi tratti da film. Rispetto alle aziende
concorrenti Lucasfilm Games gode del vantaggio di avere in casa propria un
background cinematografico di enorme successo cui attingere. Il gioco,
proprio come la pellicola omonima, vede Indy affrontare la ricerca del
Santo Graal in una corsa contro gli odiati nemici di sempre, i nazisti. La
grafica risulta ancora grezza, ma la trama e le musiche celeberrime fanno
decollare l'avventura. Tra le altre uscite, Their Finest Hour: Battle of
Britain, seguito ideale del precedente simulatore di volo militare.
La prima Star videoludica
L'anno che chiude i mitici anni '80, era degli yuppies e del Rocambolesco
al cinema, vede l'esplosione della prima vera e propria Star videoludica,
adorata da milioni di giocatori: è Guybrush Threepwood, aspirante pirata e
protagonista di The Secret of Monkey Island, che arriva sugli scaffali
dopo il parziale successo di Loom, avventura mistico-musicale e primo e
unico tentativo di lanciare un videogame assieme ad una musicassetta
contenente relativi audiodramma e melodie di Tchaicovsky.
Le (dis)avventure comiche di Guybrush, alla ricerca di qualcuno che lo
inizi alla pirateria, si svolgono nelle isole dei Caraibi: lì s'innamora
perdutamente del bel governatore Elaine e tenta ad ogni costo di salvarla
dal lurido bucaniere LeChuck, che l'ha rapita per portarla all'altare. Il
successo per l'intreccio e i personaggi concepiti dall'abile game designer
Ron Gilbert è tale, che per la prima volta LucasArts pensa di dare un
seguito a un proprio titolo.
Nel rompicapo Night Shift si inizia a intuire che il vuoto fin qui lasciato
dalla saga di Guerre Stellari, sarà presto colmato: tra i giocattoli che si
devono costruire a ritmo frenetico in una fabbrica durante il turno di
notte del titolo, appaiono dei piccoli Stormtroopers, nonché i robottini
C-3PO e R2-D2.
Nel 1991 infatti viene distribuito il primo prodotto (33) basato su Star Wars, destinato a funzionare su Nintendo Entertainment System (NES),
piattaforma a cartucce all'epoca dominatrice del mercato delle console
domestiche. Sviluppato dal colosso giapponese JVC, l'omonimo videogame si
svolge secondo il classico schema del gioco d'azione a scorrimento. A
questo successo si aggiunge quello del sequel di Monkey Island, LeChuck's
Revenge, imperniato sulla vendetta che il pirata, divenuto fantasma dopo la
morte alla fine del primo episodio, vuole esercitare su Guybrush. Se la
grafica inizia a ricoprire un ruolo fondamentale in termini di
coinvolgimento, grazie a figure e paesaggi sempre più definiti, è con la
gestione delle musiche che Lucasfilm Games ormai passata alla nuova
denominazione di LucasArts compie un ulteriore balzo in avanti: col
sistema IMUSE, il commento sonoro acquista dinamicità e comincia a legarsi
sempre più all'azione rappresentata sullo schermo (34). Per dare ulteriore
continuità alla serie di battaglie aeree simulate viene pubblicato Secret
Weapons of the Luftwaffe, incentrato sugli scontri verificatisi tra
velivoli americani e tedeschi negli ultimi anni della seconda guerra
mondiale.
L'era del disco ottico
Il 1992 segna l'approdo a supporti sempre più sofisticati, col passaggio al
ben più capiente CD-ROM dopo anni di utilizzo dei floppy disk. Inizialmente
vengono riconvertiti su disco ottico titoli già pubblicati: Loom ha l'onore
di essere il primo gioco i cui personaggi possono finalmente parlare. Nello
stesso periodo si decide di richiamare alla ribalta l'archeologo più famoso
del mondo, affidandogli in Indiana Jones and the Fate of Atlantis una
storia completamente nuova; voci di corridoio indicano che si tratta della
medesima trama del film che Harrison Ford, ormai stanco di calarsi nei
panni polverosi di Indy, si è rifiutato di interpretare. Comunque sia
questa nuova avventura, che pone nuovamente l'archeologo in contrasto con
il Terzo Reich, stavolta alla ricerca delle rovine di Atlantide, presenta
un paio d'interessanti novità: grazie alla tecnica del rotoscoping (35) i
personaggi assumono una fisicità mai vista prima, che sembra staccarli
dallo sfondo. Inoltre l'avventura offre tre opzioni di gioco, Wits, Fists e
Team (lett. arguzia, pugni o gioco di squadra), che consentono al giocatore
la scelta tra uno sviluppo basato sull'azione, sulla risoluzione di enigmi
o su entrambi tali elementi. Naturalmente il prodotto furoreggia tra i
cinefili, che sono messi in condizione di vivere in prima persona un nuovo
affascinante viaggio del proprio beniamino.
Nel frattempo, dato il prevedibile successo del primo gioco basato su
Guerre Stellari, vengono sfornati altri due titoli: The Empire Strikes
Back, ispirato al secondo film della trilogia lucasiana e sviluppato per
NES; Super Star Wars, sorta di versione di lusso del precedente Star Wars,
adattato al Super Nintendo Entertainment System (SNES), la nuova console a
16 bit della casa giapponese destinata a soppiantare in breve tempo il NES.
Entrambi i titoli riproducono ancora una volta le vicende del relativo film
in uno stile puramente arcade.
La Saga arriva ufficialmente sul monitor
Il 1993 è l'anno del primo simulatore spaziale basato su Guerre Stellari:
X-Wing consente di salire a bordo dei caccia ribelli nelle missioni contro
l'Impero, fino all'epico attacco finale alla Morte Nera. L'attesa era
spasmodica: X-Wing diviene il gioco più venduto della LucasArts, che in
breve tempo, seguendo un'usanza alquanto diffusa, si appresta a pubblicare
degli add-on, programmi aggiuntivi che offrono nuove missioni e astronavi.
A Guerre Stellari è ispirato pure un altro must del 1993: si tratta di
Rebel Assault, che vanta il primato di essere il primo prodotto sviluppato
appositamente per CD-ROM. Ancora battaglie stellari ma stavolta partendo da
sequenze originali del film, adattate a missioni del videogioco. Completano
il capolavoro le orchestrazioni della London Symphony Orchestra e
l'integrazione totale del parlato. Passa quasi in second'ordine la
creazione di INSANE (36), appositamente studiato per fornire al gioco una
qualità cinematografica senza precedenti.
Sul versante delle avventure vede la luce Day of the Tentacle, seguito di
Maniac Mansion, illuminata dal medesimo spirito folle e primo gioco ad
uscire contemporaneamente in due versioni, più leggera su floppy disk e
arricchita dal parlato su CD-ROM. Questa volta Bernie e i suoi amici devono
vedersela con i tentacoli mutanti del pazzo Dottor Fred. Il tratto bizzarro
del disegno e caratteri che sembrano usciti da un qualche film a base di
nerd determinano la riuscita di uno dei più comici giochi di sempre.
Sperimentando una nuova interfaccia di gioco, sempre in punta di mouse, ma
ancora più semplice del celeberrimo SCUMM, LucasArts propone una detective
story ambientata nella provincia statunitense e affidata a un duo
strampalato formato da un cane marlowiano e un coniglio che farebbe venire
l'esaurimento nervoso a Bugs Bunny. Gli investigatori, che devono indagare
sulla misteriosa sparizione di un Bigfoot, attraversano le più bizzarre
attrazioni d'America, tra cui l'immancabile casa-museo del compianto Elvis.
Una feroce vena sarcastica e le inusuali musiche che intercalano il jazz al
country rendono Sam & Max Hit the Road, l'avventura più adulta mai
realizzata dagli eredi della Lucasfilm Games.
Il 1994 è un anno di transizione. La concorrenza è sempre più sfrenata e la
LucasArts non è più una delle poche case produttrici di software ludico
delle origini. A fronteggiarla ormai ci sono veri e propri colossi, vecchi
come Sierra ed Electronic Arts o più recenti come Westwood Studios.
L'adventure game coinvolgente e cinematografico non è più un genere ad
appannaggio esclusivo della casa di San Rafael, tanto che i suoi
programmatori iniziano a pensare di esplorare nuovi generi. A parte Super
Return of the Jedi, a dire il vero per nulla acclamato, una versione delle
avventure di Indy per console (Indy's Greatest Adventures) e il seguito di
X-Wing, ovverosia TIE Fighter, dedicato stavolta al lato oscuro della forza
e alla guida del caccia imperiale omonimo, dallo Skywalker Ranch giunge
poco altro. Per lo più riedizioni in CD di giochi vecchi e Star Wars Screen
Entertainment, salvaschermo per fanatici di Guerre Stellari.
L'anno d'oro e i primi passi falsi
Passa un altro anno e avviene il riscatto: secondo posto nella classifica
di settore e quattro titoli nella Top 20 dei giochi più richiesti. Il 1995
è poi un anno strategicamente importante: nasce il sito Internet ufficiale:
www.lucasarts.com.
Il primo dei titoli esauriti è il primo sparatutto in soggettiva della
LucasArts, per di più basato sul mondo di Guerre Stellari: Dark Forces si
avvale però di una nuova storia e di un nuovo eroe Kyle Katarn, conosciuto
solo da chi divora fumetti e romanzi ispirati alla Saga. Il successo è
atteso, tanto che vengono stampate 300mila copie solamente per il lancio:
se ne venderanno molte di più. Altro titolo e altro cambio di direzione:
Full Throttle, avventura dall'ambientazione futuristica e dai toni cupi,
che cala il giocatore nei panni oleosi del motociclista Ben, capo di una
gang su due ruote. Accusato di aver commesso un omicidio dovrà individuare
colui che l'ha incastrato, proprio mentre una bella donna meccanico inizia
a fargli girare la testa.
All'improvviso nella dependance videoludica di casa Lucas fa capolino
l'amico fraterno Steven Spielberg: da un suo spunto narrativo che qualche
anno dopo genererà il film Deep Impact nasce il viaggio fantascientifico di
The Dig. Lo "scavo" del titolo è quello che alcuni astronauti sono
costretti a eseguire su un asteroide diretto a un sicuro impatto con la
terra, allo scopo di piazzarvi delle cariche atomiche. La missione si
rivela molto più complessa allorché i valorosi scoprono che il corpo
celeste non è altro che un'astronave aliena che li catapulta in un altro
pianeta. Atmosfere rarefatte, complessi puzzle logici e un'inconfondibile
stile cinematografico fanno schizzare il gioco alle stelle del gradimento
dei fan, nonostante un livello di difficoltà troppo elevato rispetto allo
standard cui sono stati abituati negli anni.
Il terzetto delle meraviglie trova degno quarto in Rebel Assault II: The Hidden Empire. Il seguito del gioco d'azione che ha stupito il mondo riesce
nell'impresa di superarlo, grazie all'introduzione delle prime sequenze
filmate su Guerre Stellari dai tempi del film. Grazie al vasto riscontro di
pubblico, la serie di Rebel Assault raggiunge il ragguardevole traguardo
del milione e mezzo di copie vendute.
Forse in preda all'euforia per un'annata da incorniciare i game designer di
casa Lucas commettono nel 1996 il loro primo vero scivolone: l'approccio al
genere strategico con Afterlife si rivela disastroso. Forse per il tema
troppo originale al giocatore viene affidata la gestione di Inferno e
Paradiso in un pianeta alieno forse per la grafica un po' confusionaria,
il gioco raccoglie voti bassi dalle riviste di settore e non riesce ad
accattivarsi la preferenza dei consumatori. L'anno, caratterizzato da una
lunga serie di conversioni di vecchi giochi per nuove piattaforme tra cui
spicca l'incalzante PlayStation, procede languido: non desta particolare
interesse neppure il tentativo di inscatolare il genere d'avventura in una
mise da ufficio, tanto che Indiana Jones and His Desktop Adventures passa
quasi inosservato. Quello che milioni di "smanettoni" attendono è il nuovo
gioco di Guerre Stellari. Il titolo esce, ma è una doccia fredda per tutti
i possessori di PC, fin qui privilegiati dalla LucasArts: Shadows of
Empire, avventura d'azione ispirata al fumetto omonimo, la quale offre la
scelta tra una visuale in prima persona e un'oggettiva presagio del futuro
successo di Tomb Raider, viene pubblicato solo per la nuova console
giapponese Nintendo 64. Solo dopo un anno il videogame esce anche per PC e
le richieste in termini di hardware sono tanto esose che senza una scheda
grafica acceleratrice non è possibile sperare di vedere neanche una
schermata di gioco.
Oltre alla suddetta inusuale conversione il 1997 vede il lancio di uno dei
seguiti maggiormente attesi nella storia dei videogiochi. Si tratta della
terza avventura di Guybrush Threepwood, che dopo lunghi sei anni torna a
solcare i mari caraibici in The Curse of Monkey Island. La grafica è
portentosa e finalmente si riescono a distinguere chiaramente i tratti
somatici "cartooneschi" dell'eroe allampanato. Il pirata pasticcione ma dal
cuore d'oro è impegnato (ancora una volta) a salvare la bella Elaine da un
incantesimo di LeChuck che l'ha trasformata in statua. Il finale aperto a
possibili seguiti spiega la misteriosa conclusione del precedente capitolo,
mentre un dubbio frammisto a una sensazione di déjà vu s'insinua nei
giocatori: il pirata fantasma LeChuck non sarà mica il padre inconsapevole
di Guybrush?
Il genere in soggettiva si arricchisce di due titoli di vasto successo. Il
primo è un omaggio appassionato allo spaghetti western di Sergio Leone e
presenta una trama riecheggiante i classici del genere: Outlaws, primo
gioco della LucasArts a fornire il supporto multiplayer (37), vede il
pacifico ex sceriffo James Anderson inseguire i cowboy spietati che gli
hanno ucciso la moglie e rapito la figlia. Finirà in un bagno di sangue
sulle note struggenti di un'armonica il cui suono si perde nel vento,
colonna sonora certamente ispirata ai capolavori di Ennio Morricone. Il
secondo è il seguito di Dark Forces: questo capitolo, intitolato Jedi
Knight, presenta nella rinnovata veste grafica prerogativa delle schede 3D,
il viaggio di Kyle Katarn alla ricerca del proprio passato e delle potenti
e misteriose vie dei cavalieri Jedi. Filmati e musiche sempre più raffinati
fanno assomigliare il videogame a un film interattivo.
Sul versante Guerre Stellari si affaccia un ulteriore simulatore spaziale,
ma stavolta è un mezzo fiasco. Realizzato in maniera affrettata, per
sfruttare almeno negli Usa la febbre del gioco in Rete, X-Wing vs. TIE
Fighter non incontra il gusto dei giocatori europei che finiscono per
snobbare il titolo. Un risultato analogo anche per Star Wars: Masters of
Teräs Käsi, inizialmente previsto per PlayStation e mai trasportato su PC.
I programmatori vanno incontro a uno dei più clamorosi errori della propria
storia proponendo un picchiaduro con i personaggi della Saga. A parte il
fatto che il genere scelto non si sposa con la passione dei fanatici di
Guerre Stellari, ma come si fa a pretendere di far sfidare a calci e pugni
Luke Skywalker e Boba Fett? Pochi gradiscono. Come suol dirsi: scherza con
chicchessia ma non con gli eroi della Trilogia.
Ultimo titolo di rilievo dell'anno è Yoda Stories, secondo e ultimo
tentativo di realizzare un'avventura da scrivania. Il fascino esercitato
sui giocatori è scarso e molte delle vendite sono dovute all'allegato
Making Magic, presentazione multimediale assai accurata dell'imminente
restyling cinematografico.
Verso la minaccia fantasma
Il 1998 fa capire ai fan avvezzi allo "smanettamento" che ormai non manca
molto all'uscita del nuovo episodio di Guerre Stellari. I titoli che
sfruttano la linfa inesauribile della creazione di George Lucas saranno tra
1998 e l'anno in corso addirittura nove, anche se uno è un pacchetto di
missioni aggiuntive per Jedi Knight e un altro è una supercollezione di
simulatori.
La LucasArts apre l'anno affrontando un nuovo genere, quello strategico e,
come spesso avviene, decide di andare controcorrente. Rebellion è dunque un
gioco a turni che pone il giocatore su un vastissimo scacchiere composto
dai mondi immaginati da Lucas; le pedine sono costituite da tutti i
personaggi, dai più famosi come Luke, Han, Leia a quelli apparsi solo nei
romanzi e nei fumetti. Nonostante il consueto fascino esercitato da questo
sfondo il gioco appare statico e ripetitivo rispetto all'opzione delle
battaglie in tempo reale ormai entrata nel DNA dei giochi strategici. Anche
Rogue Squadron, simulatore in stile puramente arcade che pone il giocatore
al comando della celebre pattuglia ribelle, non appare impeccabile: la
LucasArts sembra iniziare a perdere colpi nel momento in cui appalta lo
sviluppo dei propri prodotti ad aziende esterne.
Per rispondere al desiderio di Saga che consuma milioni di persone nel
mondo e forse anche per chiudere definitivamente l'età d'oro legata alla
prima Trilogia viene pubblicato Star Wars: Behind The Magic. Si tratta di
un'enciclopedia multimediale che dovrebbe entrare a far parte della
collezione di ogni seguace di Guerre Stellari, nella quale si possono
persino trovare le prime foto ufficiali del nuovo imminente episodio.
L'attesa nel frattempo cresce e la data di uscita americana del film si
avvicina.
Sempre nel 1998 viene pubblicata una nuova avventura, Grim Fandango,
ispirata al culto dei morti e alle tradizioni messicane. Si tratta di un
noir che vede protagonista lo scheletrico agente di viaggio Manny Calavera
impegnato a sbrogliare un caso di rapimento nella Terra dei Morti. Anche
stavolta si cerca la strada dell'originalità a tutti i costi: sui consueti
meravigliosi sfondi a cui la LucasArts ha abituato i suoi appassionati si
muovono per la prima volta personaggi tridimensionali. Il risultato
estetico divide i critici. Restano però le evidenti difficoltà del motore
di gioco incomprensibilmente pieno di bug, non bilanciate dalla pur
intrigante trama mortifera.
La casa di San Rafael cataloga tra i titoli del '98 (ma in Italia tarda a
uscire) pure Indiana Jones and the Infernal Machine, avventura intrisa
d'azione che dà a Indy un fisico tridimensionale nel tentativo di fargli
riconquistare se non il primato del genere almeno quello dell'archeologia.
L'exploit di Lara Croft, clone in gonnella del professore, non dev'essere
andata giù ai boss della LucasArts. Stavolta l'incubo non sono più i
tedeschi ma i russi, che vogliono impadronirsi della Torre di Babele e del
portale dimensionale che sembra celare.
Sedici anni di attesa vanificati da un videogioco?
L'anno in corso si apre con l'ufficializzazione della data di uscita di
Episodio I La minaccia fantasma, atteso (l'aggettivo può bastare?) film
d'apertura della nuova Trilogia. Se George Lucas spreme fino all'ultimo
minuto i suoi collaboratori, nemmeno alla LucasArts se ne stanno con le
mani in mano. A breve distanza l'uno dall'altro escono due videogame
incentrati sul prequel: Star Wars: Episode I The Phantom Menace e Star
Wars: Episode I Racer. Il primo è la versione interattiva del film,
un'altra avventura 3D in cui finalmente si può prendere visione dei nuovi
mondi e personaggi. Il secondo espande a gioco una sequenza del film,
quella della corsa folle su Tatooine: attraverso una lunga serie di pianeti
e percorsi si snoda dunque il campionato di pod racing che vede i migliori
piloti della galassia, tra cui il piccolo Anakin Skywalker, alla velocità
di quasi 1000 Km/h.
Le stranezze della distribuzione fanno si che entrambi i giochi venga
lanciati sul mercato mondiale in contemporanea all'uscita statunitense del
film che avviene nel mese di maggio. Nei paesi europei dunque questi
prodotti giungono prima ancora che i fan di Guerre Stellari abbiano potuto
vedere il nuovo film determinando un effetto spiazzante. I giocatori sono
messi di fronte a un'amletica scelta: giocare e rovinarsi la sorpresa della
visione al cinema o non giocare e dormire sonni tranquilli fino all'uscita
in sala? In ogni caso è un segnale ben preciso: l'industria videoludica è
divenuta nel giro di un trentennio una specie di schiacciasassi del settore
dell'intrattenimento, minaccia fantasma (è proprio il caso di dirlo) per il
mondo della celluloide, costretto quindi a svecchiarsi ecco l'ascesa
della cultura degli effetti speciali a Hollywood per non perdere consenso
e, di conseguenza, denaro.
Sempre nel medesimo periodo, anzi con qualche mese d'anticipo rispetto ai
titoli appena citati, LucasArts sforna l'ennesimo titolo dedicato al
velivolo più ammirato della saga, il celeberrimo caccia con le ali a x:
X-Wing Alliance riprende il successo dei vecchi simulatori spaziali in una
veste grafica portentosa, superando l'impasse del suo immediato
predecessore. Tornano una storia avvincente e delle missioni giocabili in
modalità "singolo" oltre a una novità che tutti aspettavano da tempo:
l'emozione di volare sul Millennium Falcon, "la nave che ha fatto la rotta
di Kessel in meno di dodici parsec", testuali parole del comandante Han
Solo.
Nel listino '99 delle uscite compare anche Force Commander (la cui uscita
in Italia è prevista ad ottobre), primo esperimento di gioco strategico in
tempo reale, in cui è possibile scegliere se comandare l'intera flotta
imperiale o predisporre le truppe dell'alleanza ribelle: alla consueta
visuale a volo d'uccello se ne accompagna una tridimensionale.
Una software house tutta avventura e PC
A conclusione di questa lunga carrellata si può tentare di individuare
alcune caratteristiche dell'azienda videoludica fondata da George Lucas. A
diciassette anni di distanza LucasArts ha ormai preso coscienza che la sua
risorsa fondamentale è costituita dall'universo di Guerre Stellari, la cui
nuova espansione cinematografica non potrà che giovare sotto il profilo
delle storie e dei personaggi ulteriormente sviluppabili. Dopo un lungo
periodo di elaborazione casalinga dei propri prodotti partito non a caso
dal 1993, e cioè dall'anno in cui sono scadute le licenze di sfruttamento di
Atari e Domark, la casa di San Rafael è ritornata a produrre software in
collaborazione con altre aziende: ciò ha determinato in alcuni casi un
abbassamento di qualità, come nel caso di Rebellion, dovuto probabilmente a
un minor controllo sul prodotto stesso. Bisogna però considerare che il
mercato del software ludico si è sviluppato al punto tale che la manciata
di aziende che nei primi anni '80 le facevano concorrenza si è trasformata
in una moltitudine: come nel cinema la competizione sfrenata ha portato a
un allargamento dell'offerta di giochi, ma anche a un abbassamento della
qualità media. In qualche modo anche i brillanti programmatori di Monkey
Island ne hanno risentito.
Anche se gli specialisti profetizzano un mercato videoludico sempre più
dominato dalle console e chi potrebbe dire il contrario quando nei
prossimi mesi usciranno nell'ordine Sega Dreamcast, Playstation 2 e
Nintendo Dolphin, tutte macchine iperveloci la LucasArts rimarrà pur
sempre una casa affezionata al Personal Computer: basta guardare al passato
per rendersi conto di come la maggior parte dei titoli siano stati
realizzati per funzionare su un PC. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che
il computer resta a tutt'oggi, nonostante le necessità di aggiornare
l'hardware, la piattaforma più affidabile e meno sottoposta ai cambiamenti
repentini che lo sviluppo tecnologico odierno impone: pensiamo ai poveri
acquirenti di Super Nintendo, una piattaforma che nel 1991 sembrava lo
stato dell'arte videoludica e che oggi è un pezzo da museo le cui cartucce
sono totalmente inservibili.
Infine ci preme individuare nell'avventura il genere prediletto dalla
LucasArts, quello che ha scandito i suoi maggiori successi: ciò è dovuto
probabilmente al fatto che, essendo essa nata da una costola della
Lucasfilm, ha puntato soprattutto su ciò che sapeva fare meglio, cioè
raccontare storie, nella fattispecie interattive. Di fronte all'esplosione
di Tomb Raider il mercato si è oggi orientato decisamente verso la
produzione di avventure tridimensionali dinamiche, con la conseguenza di
inaugurare un vero e proprio filone nato dalla commistione di due generi
fin lì separati, l'arcade e l'adventure. Ciò ha portato all'oscuramento del
genere maggiormente narrativo, a cui pochi sembrano attualmente
interessati.
La sfida del nuovo millennio per la casa di Lucas è dunque aperta: da tempo
i suoi fan aspettano un'avventura tradizionale ispirata a Star Wars. È un
progetto difficile, nel quale non si possono commettere errori, ma è anche
l'unico sogno che LucasArts sembra non avere ancora realizzato.
Mark Hamill, eroe dei due mondi
Un uomo destinato a volare tra le stelle
A distanza di ventidue anni dall'uscita in sala di Guerre Stellari c'è
almeno un eroe che non gode più della fama interplanetaria d'allora: è Mark
Hamill, 48enne americano di Oakland, passato dall'essere protagonista del
più acclamato film di tutti i tempi a una carriera di "attore riciclato nei
videogiochi", come molte riviste patinate lo hanno definito, aprendo degli
squarci sulla sua vita in occasione dell'ondata di stampa generata da La
minaccia fantasma. Eppure se chiedete a un appassionato di videogiochi vi
dirà che il termine "riciclato" non si addice affatto alla personalità di
questo attore la cui carriera, come spesso accade, è stata oscurata dal
successo del carattere interpretato. E vi racconterà pure che Mark Hamill
ha proseguito la sua carriera di "camminatore dei cieli" o Skywalker
nell'unica vera saga spaziale che la storia videoludica ricordi: la serie
di Wing Commander, in cui si narra della sanguinosa guerra spaziale tra
umani e kilrathi e della storia dell'imbattibile pilota Christopher Blair.
Il gioco nasce da un'idea di Chris Roberts che dopo due stratosferici
successi in cui tutto, dagli intermezzi narrativi alle missioni di volo,
era raccontato con pregevoli disegni animati decide di arruolare un cast
di attori professionisti per il terzo capitolo di un progetto che aspira a
trasformarsi in vera e propria saga.
Wing Commander III: Heart of the Tiger è tra i primi giochi di rilievo,
senza dubbio la prima simulazione di volo spaziale, a utilizzare la ripresa
di attori dal vivo da inserire successivamente su scenari disegnati al
computer grazie alla tecnica del blue screen (38). Questa scelta pone il
titolo tra i kolossal dell'industria videoludica: non a caso esce, fatto
sensazionale per l'epoca, in ben quattro CD, necessari soprattutto a
contenere i lunghi filmati.
Si apre l'era dei copioni digitali
A interpretare Blair, pilota pluridecorato nelle ripetute battaglie contro
la razza aliena dei kilrathi, viene chiamato Mark Hamill: l'attore si
impegna a fondo nell'interpretare la figura di un uomo solitario e leale,
in lotta con il nemico ma anche con l'establishment militare e le cui
uniche passioni sono i caccia stellari e il maggiore francese Jeanette
"Angel" Deveraux. Le riprese cinematografiche, che nel gioco servono da
collante narrativo tra le singole missioni affidate al giocatore, vedono
accanto a Hamill una schiera di illustri caratteristi e almeno una guest
star. Per lo più si tratta di attori di secondo piano, avvezzi a passare
dal grande al piccolo schermo ma non per questo di cattive attitudini
recitative, qui chiamati a sviluppare delle psicologie già ampiamente
delineate nei due precedenti capitoli.
Tra i volti noti si possono annoverare Tom Wilson, già interprete
dell'odioso Biff Tannen nella trilogia (un'altra!) di Ritorno al futuro,
non a caso scelto per il ruolo dello spaccone dei cieli Maniac, dedito a
torturare ogni pivello presente sulla nave spaziale. Il ruolo del maggiore
Taggart viene invece affidato a una vecchia conoscenza dei fan di Indiana
Jones: l'attore inglese John Rhys-Davies, interprete di Sallah, amico e
guida fidata per Indy nell'Egitto di I predatori dell'arca perduta, che qui
ripropone il cliché dell'alleato del protagonista. Il capitano Eisen, che
nel gioco svolge soprattutto la funzione di illustrare a Blair e compagni
le missioni di volo, è affidato al mestiere dell'attore di colore e dai
capelli brizzolati Jason Bernard, spesso impegnato in ruoli bofonchianti e
visto in molti film americani da Wargames al recente Bugiardo bugiardo.
Addirittura per una parte di secondo piano, quella del capo tecnico Rachel
Coriolis, viene assoldata la bionda Ginger Lynn Allen, vera e propria star
del cinema porno, fino a tre anni prima impegnata in film come Ginger Lynn
incontra John Holmes e sdoganata per l'occasione per interpretare l'unica
presenza femminile di rilievo del gioco.
Sembrerebbe un cast di attori di comprimari se non fosse che per il ruolo
dell'antagonista principale la presenza dei kilrathi è infatti relegata
alle missioni interattive e per il momento viene esclusa da gran parte
delle riprese viene scelto Malcolm McDowell, altro attore bruciato dal
Mito (Arancia meccanica) e rigeneratosi al cinema in una serie di ruoli di
cattivo qui distillati per interpretare il perfido ammiraglio Tolwyn.
Film e videogame in un solo spettacolo
Il videogame diviene quindi ufficialmente un territorio che confina
direttamente con quello cinematografico. Non solo nella produzione dei
prodotti videoludici, divenuti multimediali grazie al nuovo supporto
rappresentato dal CD, si utilizzano voci e filmati, ma addirittura vengono
assunte nel processo produttivo figure come direttori di casting,
costumisti, guardarobieri e quant'altro serve a ricreare nel gioco quelle
atmosfere cinematografiche cui i videogiochi, nemmeno troppo segretamente,
aspirano.
Naturalmente l'occasione viene colta al volo anche da attori e attrici, sia
da coloro che bazzicano nelle serie TV, ma anche da quelli che sono stati o
ancora sono luminose Star del grande schermo: non solo quindi Hamill o
McDowell, ma anche attori come Christoper Lloyd (uomo tra i cartoni in Chi
ha incastrato Roger Rabbit ma anche nell'avventura Toonstruck), il
compianto Brian Keith (attore legato ai western e ai noir interattivi
incentrati sul detective Tex Murphy), Michael York (passato da Zeffirelli
ai medesimi interactive mysteries (39)) e persino grandi interpreti come
Christopher Walken (dal celebre Il cacciatore al videogame The Ripper) e
Dennis Hopper (interprete di Easy Rider e assieme a Teri Garr del gioco
Black Dahlia). Non si contano naturalmente tutti gli interpreti di film e
telefilm chiamati a riprodurre i loro personaggi ad uso delle versioni
interattive, come nel recente caso di X-Files: The Game.
Le opportunità di lavoro nell'ambito dell'industria dei videogiochi
riguardano però non soltanto chi appare in prima persona nelle sequenze
filmate, ma soprattutto i doppiatori chiamati a lavorare sui personaggi
virtuali, esattamente come avviene nel cinema d'animazione. Anche in questo
caso la presenza di richiamo di una voce nota può portare beneficio al
gioco, sia in termini di riuscita che di pubblicità. Ecco dunque che lo
stesso Mark Hamill, già artefice di un'impressionante caratterizzazione di
Joker nella serie animata su Batman, viene chiamato prima a doppiare un
personaggio secondario in Gabriel Knight: Sins of the Fathers e qui
avviene l'incontro con un'altra voce, impostata, quella di Tim Curry.
Quindi ritorna a lavorare per George Lucas nel 1995, quando viene scelto
per interpretare il motociclista Ben, protagonista di Full Throttle.
Naturalmente la serie di Wing Commander lo vede protagonista di altri due
episodi, The Price of Freedom, nel quale svolge il ruolo fondamentale
per la destituzione di Tolwyn, e Prophecy, in cui si fa da parte per
lasciare spazio a Casey (l'attore Stephen Petrarca), che sarà protagonista
della nuova serie. Ancora una volta e a ben considerare il rapporto tra i
due nel gioco lo si intuisce subito il maestro lascia il proprio posto al
giovane allievo, tra l'altro nella finzione figlio del suo migliore amico.
Non è un caso insomma che Hamill sia stato scelto per il ruolo centrale
della trilogia di Wing Commander (se consideriamo i capitoli con attori in
carne ed ossa): si perpetua il mito del cavaliere Jedi in quella che può
essere considerata l'unica saga accostabile all'universo di Guerre Stellari.
Come si comprende quindi anche dalla parabola professionale dell'attore
Mark Hamill, la cui celebrità deriva in misura uguale dall'aver
interpretato un eroe del grande schermo e un mito videoludico, cinema e
videogame si possono considerare al volgere del secolo e del millennio come
i due pilastri dell'industria del divertimento, ormai fondata sul
predominio tecnologico.
Scenari futuribili: perché i videogame salveranno il cinema
Quali gli scenari futuribili derivanti dall'incontro tra cinema e videogame
resta difficile a dirsi. Ci sia permesso però un azzardo: i videogiochi e
il computer salveranno il cinema e lo faranno sopravvivere al difficile
passaggio verso l'era digitale, rigenerandolo poi definitivamente a una
nuova felicissima vita. Proviamo ad immaginare perché.
George Lucas, ancora una volta come nel 1977, pone con The Phantom Menace
la prima pietra di un altro cambiamento epocale. Non soltanto in esso si
hanno i primi personaggi recitanti interamente realizzati al computer, ma è
questo il primo film per il quale si tenta l'esperimento di distribuzione
digitale, con i dati numerici a sostituire la pellicola.
Come all'epoca di Guerre Stellari, c'è da scommetterci, la via segnata da
Lucas porterà ad ulteriori sviluppi del Meraviglioso al cinema sotto
l'egida dello stesso regista ricordiamoci che ha in cantiere altri due
episodi della nuova Trilogia e delle sue compagnie, prima fra tutte la
Industrial Light + Magic, che non ha caso sta lavorando a Frankenstein
2000, primo film interamente digitale della storia con attori interamente
realizzati in computer graphic. A medio termine, tra dieci o vent'anni, si
può quindi immaginare un'industria cinematografica sempre più assuefatta a
paesaggi e interpreti digitali, con una progressiva scomparsa del reale dai
film. È a questo punto che si può ipotizzare un intervento risolutivo dei
videogame in favore del cinema: sempre più sofisticati, approdati ormai al
DVD e agli schermi piatti a quaranta pollici, i videogiochi saranno
diventati a pieno titolo una forma di cinema interattivo, ciò che oggi
riescono ad essere ancora pallidamente. A questo punto il pubblico,
circondato ormai a 360° da immagini generate da elaboratori, percepirà nel
panorama dell'entertainment una carenza di realtà. Ecco che il cinema saprà
rispondere a questa nuova e inattesa esigenza, ritornando a raccontare
delle storie attraverso immagini catturate dal vivo con un obiettivo.
Si tratta di una previsione forse troppo ottimistica, ma non
irrealizzabile. Certo è che il cinema continuerà ad accompagnarci col suo
straordinario potere fascinatorio. Magari nel frattempo i videogiochi
avranno conquistato il riconoscimento di forme d'arte.
Appendice: per un elenco completo dei videogame su Star Wars
Torniamo brevemente a parlare dei videogiochi ispirati a Star Wars: quello
che segue è, pensiamo, un elenco pressoché completo. Chi scrive vuole
mettere in rilievo le difficoltà di ricostruzione della preistoria dei
giochi ispirati a Guerre Stellari, molti dei quali funzionavano su macchine
oggi considerate vero e proprio "tecnoantiquariato". Come si è detto dal
1982 fino al 1993, anno in cui LucasArts ha cominciato a distribuire col
proprio marchio videogame sulla Saga, i diritti di sfruttamento sono stati
nelle mani di Atari, artefice dei primi titoli per coin-op (40)
riconvertiti poi per le proprie console casalinghe, quindi di Domark che li
ha trasportati su PC. Anche Earlier Parker Bros. ha avuto una breve licenza
dal 1982 al 1984: se qui la si ricorda non è tanto per la qualità dei suoi
giochi quanto per essere stata la prima software house a vendere un
videogioco ispirato a Guerre Stellari.
Ecco quindi la lista dei prodotti ispirati all'universo di Guerre Stellari e pubblicati dal 1982 al 1999. Ogni titolo, in lingua inglese, è seguito
dalla casa di produzione e dalle piattaforme supportate, nonché dal
relativo commento di chi scrive (41).
1982
The Empire Strikes Back (Parker Bros per Atari 2600 VCS).
Il primo gioco su
Star Wars e una delle cartucce per Atari più vendute di tutti i tempi.
Scopo del gioco è quello di bloccare l'avanzata dei camminatori imperiali
correndo a bordo di uno snowspeeder.
1983
Star Wars (Atari Inc. per Coin-op).
Uno dei classici di tutti i tempi
presenta in grafica vettoriale (42) tre momenti salienti dell'omonimo film:
un duello con i TIE Fighters, l'attacco alla superficie della Morte Nera e
il celebre canalone con lo scarico termico finale. Il gioco ha un tale
successo che Atari Inc. lo converte, sempre nel 1983, per le sue console
casalinghe Atari 2600 VCS, 5200 VCS e 400 quindi l'anno successivo per
Colecovision. Domark sfrutta la licenza acquisita dall'Atari Inc. per
convertire il titolo per ogni sistema di PC: arrivano così le versioni per
Sinclair ZX Spectrum e Commodore 64 (entrambe 1983), Atari ST (1985),
Amstrad CPC e Commodore Amiga (1987).
Star Wars: Jedi Arena (Parker Bros. per Atari 2600 VCS).
Nel tentativo di
ripetere l'exploit dell'anno precedente Parker Bros. sviluppa un gioco che
richiama alla mente Breakout (43). Una grafica e una giocabilità non
all'altezza non consentono nemmeno di avvicinarsi a quel successo.
Return of the Jedi: Death Star Battle (Parker Bros. per Atari 2600 VCS).
La
trilogia dei videogame sviluppati da Parker Bros. si completa con questa
simulazione spaziale in cui si può volare con il Millennium Falcon contro i
caccia imperiali e la Morte Nera. La conversione per Sinclair ZX Spectrum
arriva sempre nel 1983, questa volta ad opera di Sinclair Reaserch Ltd.
Star Wars 3D (Elfin per Sinclair ZX Spectrum).
Il primo gioco senza licenza
della storia, talmente povero da passare quasi inosservato: si tratta di
uno sparatutto che, a parte il titolo, ha poco a che fare con il film di
Lucas.
Return of the Jedy (sic) (MK Circuits per Sinclair ZX Spectrum).
Altro titolo
uscito senza licenza ecco probabilmente perché il titolo è storpiato
che pone il giocatore al centro di un'arena di fronte a Darth Vader.
Dimenticabile.
1984
Return of the Jedi (Atari Inc. per Coin-op).
Secondo titolo della casa
inglese per sala giochi, che propone due livelli entrambi in grafica
isometrica: nel primo bisogna evitare le truppe imperiali in una folle
corsa su Endor a bordo di uno speederbike; nel secondo volare sul
Millennium Falcon attraverso la seconda Morte Nera. Convertito da Domark
per Sinclair ZX Spectrum e Commodore 64 (1984), Atari ST (1985), Amstrad
CPC (1987), Commodore Amiga (1988).
Death Star (Rabbit Software per Sinclair ZX Spectrum).
Gioco sviluppato
senza licenza da una sconosciuta software house: il risultato è di
scarsissima qualità.
1985
The Empire Strikes Back (Atari Inc. per Coin-op).
Il terzo episodio da bar
coincide con quello più cupo della Trilogia. L'operazione è spudoratamente
commerciale: basta cambiare le decalcomanie del cassone (44) di Return of
the Jedi, utilizzando lo stesso motore di gioco (ma con nuove musiche e
scenari) per avere un nuovo titolo. Tre livelli: distruggi i droidi spia,
difendi i generatori di energia dall'attacco imperiale e scappa dai caccia
di Vader in mezzo a un campo d'asteroidi. Nonostante l'insuccesso viene
convertito da Domark per tutte le piattaforme possibili, dall'Amstrad
all'Amiga.
Death Star Interceptor (System 3 Software per Sinclair ZX Spectrum).
Uno
tra i più fantasiosi giochi sviluppati senza licenza: Garth Fader invia la
sua arma più potente per distruggere la Terra, ultimo avamposto
dell'umanità. Ogni commento è superfluo.
1988
Return of the Jedi (Domark per Acorn BBC B).
Traendo spunto dall'originale
del 1984, Domark aggiunge un livello in cui si può correre con i
celeberrimi camminatori imperiali AT-ST e offre una via di mezzo tra una
conversione e qualcosa di completamente nuovo.
1990
Droids: Escape from Aaron (Domark per Amstrad CPC).
Unico titolo sviluppato
da Domark su un'idea originale. Si tratta di un gioco di ruolo basato
sull'omonima serie di cartoni animati. Contemporaneamente viene pubblicata
la versione per Sinclair ZX Spectrum.
1991
Star Wars (JVC per Nintendo Entertainment System).
Tra i più acclamati
titoli su Guerre Stellari, di cui riesce a ricreare le atmosfere, e il
primo vero gioco a piattaforme che offra esaltanti sezioni sparatutto. Lo
scopo è di guidare i protagonisti del film da Tatooine alla battaglia di
Yavin. Convertito nel 1992 da Capcom per il Nintendo Gameboy e l'anno
seguente da US Gold per Sega Master System e Sega Game Gear.
1992
The Empire Strikes Back (JVC per Nintendo Entertainment System).
In maniera
simile al precedente titolo, il videogame propone il viaggio del film dalla
battaglia tra i ghiacci del pianeta Hoth allo scontro con Darth Vader tra
le nuvole di Bespin. Convertito per Nintendo Gameboy (1992) da Capcom.
Super Star Wars (JVC per Super Nintendo Entertainment System).
La console a
16 bit offre una grafica e un sonoro impressionanti per quella che
sostanzialmente resta una versione migliorata del titolo per NES.
Indimenticabile la presentazione d'apertura con la musica di Williams
finalmente in stereo.
1993
Star Wars Arcade (US Gold per Sega 32X).
Dopo aver combattuto contro stormi
di TIE Fighter e imponenti Star Destroyer bisogna dirigere il proprio
caccia X-Wing contro la Morte Nera. Il gioco è sicuramente uno dei migliori
per questa piattaforma destinata a scomparire in pochissimo tempo.
Super The Empire Strikes Back (JVC per Super Nintendo Entertainment
System).
Come nel caso del rifacimento del primo titolo, anche per il
secondo capitolo di Guerre Stellari viene pubblicata una versione
migliorata per SNES, con la novità dei poteri Jedi affidati a Luke per
combattere l'Impero.
X-Wing (LucasArts per PC).
A bordo del celebre caccia bisogna guidare
l'Alleanza Ribelle nel tentativo di distruggere le forze imperiali. Grafica
poligonale e intermezzi cinematografici per uno dei titoli più acclamati di
sempre. A prolungarne il piacere vengono pubblicati nello stesso anno due
programmi aggiuntivi che offrono nuove avvincenti missioni: Imperial
Pursuit e B-Wing.
Rebel Assault (LucasArts per PC).
Il gioco propone le avventure di Rookie
One con una grafica 3D da arcade su sfondi precalcolati. Nei panni del
pilota ribelle bisogna affrontare le varie missioni, soprattutto di volo e
battaglia con i temibili caccia imperiali. Le sequenze animate e le musiche
originali accrescono l'immersione nell'universo di Guerre Stellari. Un
milione di copie vendute. Nel 1994 il gioco approda su Mac, Sega CD e 3DO.
1994
Super Return of the Jedi (JVC per Super Nintendo Entertainment System).
Sull'onda lunga del successo dei precedenti titoli JVC propone questo terzo
capitolo: è una delusione perché ancora una volta si utilizza un motore di
gioco vecchio, quello di Super The Empire Strikes Back, per avere un nuovo
titolo in tempi brevi. Le novità sono rappresentate dagli ewok a da
un'iperveloce corsa su speederbike. Il titolo fa poi la sua comparsa nel
1995 sul Nintendo Gameboy ad opera della Capcom, divenendo uno dei più
acclamati titoli per macchine da gioco portatili.
Star Wars Screen Entertainment (LucasArts per PC e Mac).
Niente più che
quello che lascia immaginare il titolo: una serie di screen saver ispirati
alla Trilogia. I Jawas che si portano via i pezzi del desktop, Obi-Wan e
Vader che duellano, caratteri e sceneggiatura e molte altre amenità.
TIE Fighter (LucasArts per PC).
Seguito del simulatore spaziale X-Wing,
pone il giocatore nei panni degli imperiali. Migliorie sono apportate al
motore di gioco, nel quale bisogna affrontare diverse missioni per portare
a compimento il sogno dell'oscuro signore dei Sith. Poco dopo si aggiunge
una campagna aggiuntiva: Defender of the Empire.
X-Wing Collector's CD-ROM (LucasArts per PC). Si tratta di un CD-ROM che
ripropone in un unico pacchetto X-Wing, Imperial Pursuit e B-Wing. Grafica
migliorata, sonoro digitale e dialoghi parlati. È del 1996 la conversione
per Mega CD.
1995
Dark Forces (LucasArts per PC e Mac).
Il videogame, in prima persona, pone
il giocatore nei panni della spia ribelle Kyle Katarn, artefice del furto
dei piani della prima Morte Nera necessari all'attacco finale di Guerre
Stellari. Le missioni sono quindi costruite sul concetto "infiltrati,
sabota e scappa". Non raggiunge la diffusione né lo splendore grafico di
Doom ma è comunque un successo. L'anno seguente viene convertito per
PlayStation.
Rebel Assault II: The Hidden Empire (LucasArts per PC e Mac).
Le avventure
di Rookie One si prolungano in questo seguito che offre intermezzi filmati
e maggiore varietà di missioni: da quelle sui caccia si passa a quelle a
terra, in cui bisogna sparare ai temibili Stormtroopers. La storia
originale dei caccia invisibili costruiti dall'Impero assicura le vendite.
Nel 1996 approda su PlayStation.
TIE Fighter Collector's CD-ROM (LucasArts per PC).
Come per X-Wing anche il
velivolo imperiale si merita la sua bella raccolta, innovazioni comprese.
Conversione nel 1997 per Mac.
1996
Shadows of the Empire (LucasArts per Nintendo 64).
L'eroe del gioco è Dash
Rendar, un mercenario assoldato dall'Alleanza ribelle per svolgere ogni
tipo di lavori sporchi. Le missioni offrono ambientazioni diverse: la
battaglia di Hoth, la ricerca di Han Solo, il palazzo del malvagio principe
Xizor. Svolgimento puramente arcade per uno dei giochi meno acclamati
dell'intera produzione. Conversione per PC nel 1997.
1997
Jedi Knight: Dark Forces II (LucasArts per PC).
Ancora nei panni di Kyle
Katarn, stavolta aspirante Jedi, impegnato nella lotta contro il malvagio
Jerec. Ancora uno sparatutto in prima persona, con l'uso aggiuntivo della
spada laser, che prende in esame la storia seguente alla caduta di Darth
Vader e dell'Imperatore Palpatine. I collegamenti filmati tra una missione
e l'altra ricostruiscono ciò che non si è potuto vedere sul grande schermo.
Ottimo il motore 3D di gioco. Seguìto nel 1998 da Mysteries of the Sith,
add-on che propone un nuovo personaggio: Marah Jade, apprendista Jedi e
allieva di Kyle.
Monopoly Star Wars (Hasbro per PC).
Si tratta sostanzialmente della
versione a tema del celebre gioco da tavolo. Può essere certo una
soddisfazione vedere R2-D2 che taglia il VIA e incassa le relative
banconote.
Star Wars: Masters of Teräs Käsi (LucasArts per PlayStation).
I caratteri
principali di Star Wars Luke, Han, Boba Fett, persino Leia sono i
protagonisti di questo picchiaduro in cui personaggi 3D modellati su attori
in carne ed ossa si muovono su sfondi disegnati riecheggianti la Saga.
L'esperimento della LucasArts di tentare con un nuovo genere fallisce
clamorosamente: nessuna conversione per PC.
X-Wing vs. TIE Fighter (LucasArts per PC).
I due caccia più amati dai fan
di Guerre Stellari si incontrano in questo gioco dedicato soprattutto al
supporto multigiocatore in Rete. Gli utenti singoli si ritrovano con delle
missioni slegate e non supportate da alcun background narrativo.
Graficamente molto curato ma poco avvincente. Seguito a pochissima distanza
da Balance of Power, pacchetto di missioni aggiuntive.
Yoda Stories (LucasArts per PC).
Forse pensato per consentire agli
impiegati lazzaroni di giocare in ufficio di nascosto dal capo questo
generatore di avventure in finestra offre una serie di viaggi attraverso i
mondi della Saga. Nei panni di Luke bisogna seguire i buoni consigli di
Yoda. Davvero una "cosuccia". Allegato però si trova Making Magic, ricca e
pregevole presentazione dell'Edizione Speciale di Star Wars.
1998
Star Wars: Behind The Magic (LucasArts per PC).
L'enciclopedia definitiva
sulla prima trilogia di George Lucas: immagini, suoni, backstage, scene
tagliate e molto più di quanto un normale fan di Guerre Stellari possa
voler conoscere. Stranamente il prodotto, forse il migliore mai pubblicato
da LucasArts, non ha raccolto i consensi che avrebbe meritato.
Star Wars: Rebellion (LucasArts per PC).
Al giocatore sta la scelta se
schierarsi dalla parte dell'Impero o dell'Alleanza. Poi inizia un'infinita
partita a scacchi, simulazione a turni della Trilogia, in cui sono ricreati
mondi, personaggi ed eventi. La scelta per un gioco privo d'azione
penalizza questo titolo forse da rivalutare.
Star Wars: Rogue Squadron (LucasArts per PC e Nintendo 64).
Il videogame
propone una serie di missioni a bordo dei caccia della squadriglia Rogue,
che tenne in scacco gli imperiali, durante le battaglie più celebri. Oltre
a Luke ricompaiono vecchi amici come Wedge Antilles. Mancano i filmati e il
gioco finisce presto, ma il risultato finale è comunque soddisfacente.
Star Wars: X-Wing Collector's Series (LucasArts per PC). La compilation di
ogni simulatore uscito nel passato ottimizzata per Windows 95. Sono
previste anche delle missioni aggiuntive per X-Wing vs. TIE Fighter.
1999
Star Wars: X-Wing Alliance (LucasArts per PC).
Nei panni di Asso Azzameen,
giovane mercante interplanetario, bisogna sbrigarsela tra le pressioni
dell'Impero e la conduzione degli affari. Naturalmente c'è anche il volo:
prima a bordo del Millennium Falcon quindi dopo l'adesione alla causa
ribelle nei caccia d'attacco dell'Alleanza. Il gioco ripropone,
aggiornandolo alla tecnologia moderna, il concetto del simulatore spaziale
e delle battaglie forsennate coi TIE. Esaltante.
Star Wars: Episode I The Phantom Menace (LucasArts per PC e PlayStation).
Versione interattiva del film, dall'imboscata a bordo della nave della
Federazione fino alla sfida con Darth Maul. La visuale scelta non è
impeccabile ma il buon svolgimento dei momenti chiave della pellicola
accresce l'interesse per il primo titolo dedicato al nuovo capitolo.
Sensazionale il commento sonoro williamsiano.
Star Wars: Episode I Racer (LucasArts per PC, PlayStation e Nintendo 64).
La sequenza arcade dell'omonimo film, quella della Boonta Eve Classic su
Tatooine, gonfiata a gioco spettacolare, iperveloce, scatenato. Nei panni
di Anakin, di Sebulba o degli altri piloti galattici bisogna sfrecciare su
questi mezzi a turbina, tra laghi di metano, miniere e tunnel privi di
gravità. Primo gioco di corse della LucasArts.
Star Wars: Force Commander (LucasArts per PC).
L'ultimo videogame prodotto
da LucasArts tarda ad uscire: le ultime notizie assicurano che sarà in
vendita a partire dal mese di ottobre del 1999. Si tratta di uno strategico
in tempo reale cui si aggiunge la novità del 3D. A questo punto bisogna
sperare e iniziare a pensare da che lato della Forza schierarsi.
Star Wars: Episode I Insider's Guide (LucasArts per PC e Mac).
Ecco la
guida completa al primo atteso episodio: oltre a un'intervista esclusiva a
George Lucas e al suo team si trovano più di 2000 immagini, modelli
tridimensionali, sceneggiatura originale annotata e un glossario
riguardante i personaggi del film.
Bibliografia essenziale
• A.A.V.V., Segnospeciale. L'occhio, il dito: estetica del videogame, Segnocinema n° 92, Luglio/Agosto '98.
• Sergio Arecco, George Lucas, L'Unità/Il Castoro, 1995.
• Michel Chion, I Mestieri del Cinema, Grafica Santhiatese Editrice, 1999.
• Fernaldo Di Giammatteo, Storia del cinema, Marsilio, 1998.
• J.C. Herz, Il popolo del joystick, Feltrinelli, 1998.
• Paolo Mereghetti, Dizionario dei film 1996, Baldini&Castoldi, 1995.
• Patrick Robertson, Il guinness del cinema, Gremese Editore, 1994.
• Fabio Rossi, Dizionario dei VIDEOGAME, Garzanti, 1993.
Siti Internet
• www.cto.it
• www.lucasarts.com
• www.markhamill.com
• www.mixnmojo.com
• www.starwars.com
• www.yakface.com/hosted/esb
• http://shop.starwars.com
Ringraziamenti
L'autore intende ringraziare Jeremy Beckett, Silvia Voltan, Stefano
Silvestri. Senza di loro questo saggio sarebbe stato meno esauriente.
Nota biografica dell'autore
.
Apparso su "Guida completa a Star Wars: da Guerre Stellari a La Minaccia Fantasma", Falsopiano, 1999
Marco Consoli è nato a Catania nel 1971. Laureato in Giurisprudenza, è appassionato di cinema e di videogiochi. Giornalista dei nuovi media, collabora con svariate testate cartacee e telematiche, tra cui Ciak, Capital, Hal Cinema, Musica di Repubblica, The Games Machine
Note:
(1) Con il Kinetoscope il brillante ingegnere elettrotecnico americano Thomas Edison opera il primo tentativo di sfruttamento commerciale del cinematografo. È il 22 maggio 1891 quando il marchingegno viene presentato per la prima volta. In un visore che spunta alla sommità di piccole scatole di legno appaiono strabilianti riproduzioni fotografiche in movimento: un uomo che saluta e fa l'inchino, una danzatrice, un incontro di boxe. Nel giro di breve tempo l'invenzione diviene un vero e proprio business e assurge a regina delle sale giochi dell'epoca. Di lì a poco alla macchina viene aggiunta una manovella che consente allo spettatore di decidere la velocità di riproduzione. Solo quattro anni dopo, il 22 marzo 1895, i fratelli Lumière presentano ai parigini il primo film su grande schermo della storia: è l'avvio del cinema come lo intendiamo oggi.
(2) È questa la definizione americana del videogame da sala. Il termine di etimologia latina (arcus=arco), fu anzitutto impiegato per definire i larghi corridoi coperti e pieni di negozi dei mall, i centri commerciali statunitensi. L'uso si è poi ristretto a indicare le sale giochi sulle vetrine delle quali brillava spesso la scritta multicolore ARCADE e successivamente ogni singolo videogioco in esse contenuto. Oggi che la sala giochi è tramontata di fronte allo strapotere delle console il significato si è ristretto ulteriormente a individuare uno dei generi videoludici: quello riecheggiante i giochi da sala, caratterizzati dalla prevalenza dell'azione sulla narrazione.
(3) In realtà chi volesse addentrarsi nel suggestivo gioco di relazioni tra i due mezzi d'intrattenimento (tralasciamo il fatto che il cinema è anche una forma d'arte: è stato considerato tale solo dopo decenni, diamo tempo anche ai videogames) potrebbe trovare facilmente ben più numerosi intrecci di quelli proposti. Uno, spesso dimenticato, riguarda il giudizio etico appioppato dalla società (o meglio dalla sua parte più sana) a entrambi nel momento della loro genesi: non si può negare infatti che, nel 1891 come nel 1971, le sale che promettevano svago furono etichettate come "luoghi di perdizione" e come "perdigiorno" coloro che vi si addentravano. Un giudizio questo ormai quasi del tutto scomparso per il cinema, ma ancora serpeggiante per quanto riguarda i videogame, a più riprese oggetto di attacchi di stampa per la violenza che istigherebbero nei giocatori.
(4) Il discorso vale per storiche case come 20th Century Fox, che già da qualche anno ha partorito Fox Interactive, produttrice di videogame basati sui film della casa madre o per Disney che con l'omonima divisione interattiva traduce i propri successi animati in programmi educativi per bambini. Sotto il profilo dello sviluppo di prodotti destinati al divertimento elettronico, si possono distinguere due diverse scelte commerciali: da un lato vi sono aziende che decidono di appaltare a società di informatica esterne la creazione di tali prodotti tramite cessione di una licenza di sfruttamento, dall'altro invece quelle che decidono di fare tutto in casa, distribuendoli sotto la propria etichetta. Si tratta di una scelta non facile, perché la prima soluzione implica un successo potenziale maggiore sempre che ci si affidi a uno sviluppatore d'esperienza, come nel caso di Westwood Studios per la conversione di Blade Runner ma implica minor controllo sul gioco e minori introiti. L'alternativa d'altra parte, pur garantendo dominio e guadagni assoluti, spesso si rivela un'arma a doppio taglio, perché le Major non paiono ancora in grado, per mancanza di maturità delle proprie divisioni interattive, di sfornare giochi all'altezza dei film.
(5) Steven Spielberg è un regista miracoloso, Jeffrey Katzenberg un manager di successo propenso ai disegni animati, David Geffen un discografico al servizio del cinema.
(6) Qualcuno potrà non trovarsi d'accordo con questa definizione e il discorso sui generi, che trova più avanti chiarimento, risulta alquanto complesso: in realtà Trespasser si adatta maggiormente all'amplissima categoria dell'avventura tridimensionale in soggettiva, dato che si tratta più di un gioco di esplorazione che di un vero action game.
(7) In un'epoca in cui la realtà virtuale su PC è ancora un'utopia, la fatica non può che essere comunicata in termini di lentezza e difficoltà, in altri termini in abbassamento dei livelli di giocabilità. Per rendere più chiaro il discorso con un esempio basti pensare al fatto che il semplice movimento è nei moderni sparatutto rappresentato come una sorta di traslazione fluida e priva di inciampi: ciò che conta è dare ritmo al gioco (e al personaggio principale), non realizzare un sistema di camminata realistico. In Trespasser invece tutto il contrario: la corsa nel gioco della Dreamworks avviene a velocità di gran lunga inferiore rispetto a quella del cammino nei videogame concorrenti. Ecco che il giocatore inizia a innervosirsi e la giocabilità va a farsi benedire.
(8) La donna che a differenza di Lara Croft non appare mai nel gioco, dato che tutta l'esperienza è in prima persona, è significativamente doppiata dall'attrice Minnie Driver. Ecco un altro interessante punto di contatto tra cinema e videogioco: l'utilizzo nei giochi di attori professionisti che accrescono la suggestione che pur sempre di film (interattivi) si tratti.
(9) È notorio come gli strabilianti effetti speciali del cinema nonché le abbacinanti sequenze dei videogame nascano ormai sulle medesime stazioni grafiche.
(10) In realtà la ricerca da parte del cinema di imitare o richiamare il mondo dell'informatica e dei videogiochi risale a periodi ben più remoti delle conversioni ufficiali. Tuttavia una cosa è tentare di ammaliare i fanatici del joystick con film di pura evocazione dal capostipite incompreso Tron ai più recenti "cyber-videogame-movie", quali Johnny Mnemonic o Matrix, che strizzano l'occhio all'universo videoludico e alle sue regole un'altra e ben più significativa è quella di accettare la sfida del confronto, portando su grande schermo giochi di successo come Mortal Kombat o Street Fighter (e SuperMario Bros., e i recenti Tomb Raider e Final Fantasy, ndDC).
(11) Non si può chiedere nell'ambito di un intervento come questo di analizzare ogni singola fase di realizzazione del film e del videogioco. Piuttosto si può tentare di operare degli accostamenti per vedere come le figure e i momenti cardine del processo creativo risultino pressoché identici. Quanto alle diversità, in certi casi davvero palesi non esisteranno mai per i videogame puri, cioè privi di filmati girati dal vivo, la figura del truccatore o del costumista - bisogna notare che la maggior parte di esse derivano dal fatto che mentre il cinema nasce, nella sua fase fondamentale, dalla ripresa di qualcosa che accade realmente, il videogioco è comunque una rappresentazione virtuale, nata e destinata a propagarsi nell'universo del computer. Ne deriva la scomparsa nel processo produttivo di quest'ultimo di tutti quei mestieri che nel cinema sono strettamente legati all'intervento sul reale e alla sua manipolazione dal trovarobe, al ricercatore delle location, al direttore della fotografia, al microfonista.
(12) Non è un mistero che Lara Croft, il personaggio che ha definitivamente dato lustro all'industria dei videogiochi col suo successo planetario e trasversale, sia il frutto di un'oculatissima ricerca di mercato da parte dei capoccioni della Core Design. È stato sufficiente far indossare a una donna sexy e pericolosa i panni dell'avventuriero per eccellenza, ossia l'archeologo Indiana Jones, per trasformare Lara nella prima vera star a tutto tondo che la storia dei videogiochi ricordi, con conseguente sfracello di vendite e guadagni.
(13) Nell'età d'oro del cinema (l'epoca dello Studio System) gli ambienti esterni erano realizzati al chiuso di amplissimi teatri di posa, nei quali era possibile ricostruire praticamente qualsiasi evento, evitando i rischi connaturati alle riprese in mezzo alla gente comune.
(14) Chi abbia avuto l'occasione di assistere al making di A bug's life, svoltosi durante il FuturShow di Bologna e commentato dal capo animatore Glenn McQueen, non potrà non convenire che il cinema d'animazione digitale sia il genere le cui tecniche di realizzazione e la cui resa sullo schermo più si avvicinano al videogioco. Anche in quel caso idea, sceneggiatura, disegno dei personaggi, storyboard, realizzazione in computer graphics si susseguono fino al risultato finale sullo schermo. Se Toy Story o A bug's Life fossero pure interattivi sarebbero dei grandiosi videogame.
(15) In realtà se per il cinema essa viene scelta dal regista passo dopo passo durante la lavorazione, per il videogioco è il frutto di una decisione operata a monte e che vede in fase di produzione la sua attuazione concreta.
(16) Una donna nel lago (Lady in the lake, 1946) viene ricordato nella storia del cinema per essere un film quasi interamente in soggettiva. Come risulta facile intuire, l'idea secondo cui tale espediente avrebbe dovuto garantire la massima identificazione tra spettatore e protagonista fallì clamorosamente. Il perché lo spiegò Hitchcock, secondo il quale la soggettiva consentiva l'immedesimazione solo se accompagnata ad oggettive del personaggio con cui ci si doveva identificare.
(17) Ciò avviene in funzione del fatto che il videogioco è un esperienza interattiva.
(18) Non è un mistero il fatto che spesso dopo tali test di gradimento film anche celebri siano stati completamente stravolti. Ciò spesso dà luogo a quel processo di montaggio ex-novo che viene eseguito dal regista a distanza di anni dall'uscita in sala, il cosiddetto director's cut. L'esempio più sensazionale è quello di Blade Runner, il cui montaggio e il cui finale furono cambiati a seguito dell'esito negativo di una di tali verifiche. Importante sottolineare che milioni di cinefili hanno finito per adorare Ridley Scott per un film che non poteva dirsi pienamente suo.
(19) Capita, e non di rado, che l'uscita sia posticipata anche di parecchi mesi perché il risultato finale dà esiti insoddisfacenti nella fase di
verifica.
(20) Termine informatico inglese atto a indicare un errore di programmazione che, se non scoperto in tempo, può creare anche fastidi seri in fase di gioco. Letteralmente il termine indica un insetto: pare che il primo stallo di un vecchio elaboratore sia stato causato dalla caduta di un insetto tra le sue valvole.
(21) Un classico difetto di programmazione in un'avventura si ha quando il personaggio inizia a camminare sopra parti dello sfondo o quando il compimento di un'azione nel gioco non porta alle sue logiche conseguenze. Il tester in questo caso evidenzia l'errore che sarà poi corretto prima del confezionamento finale.
(22) All'epoca dello Studio System hollywoodiano (1930-1950) la codificazione dei generi cinematografici divenne per le compagnie dominatrici dell'industria le "cinque grandi" Paramount, MGM, Fox, Warner, RKO, più le "tre piccole" Universal, Columbia e United Artists un vero e proprio strumento di salvaguardia dell'oligopolio così formato. I generi vennero presi a elemento di differenziazione tra società e società: così la RKO produceva i musical, la Warner si era specializzata nella gangster story, la Columbia era la regina incontrastata della commedia.
(23) Non esiste una "Carta dei Generi": ogni discorso sui generi in campo videoludico apre inevitabilmente una discussione. Per esempio c'è chi dirà che Fifa '99, celebre gioco di calcio dell'Electronic Arts è una simulazione, chi invece sosterrà che si tratta di un videogame sportivo. Al di là di queste sfumature, derivanti dall'oggettiva difficoltà di catalogazione, si può tentare di operare una sistemazione pressoché definitiva.
(24) È inutile qui ricordare i generi del cinema. Ciascuno è infatti in grado di distinguere un horror da una commedia, un drammatico da un film di
fantascienza.
(25) J. C. Herz, Il popolo del joystick, Feltrinelli 1998, pag. 39.
(26) Termine inglese che indica le montagne russe, utilizzato da molta critica per evidenziare un tipo di cinema ossessionato dal movimento dell'azione scenica e dalla frenesia nel ritmo della narrazione.
(27) Ufficiale della Vecchia Repubblica, si schierò dalla parte dei ribelli dopo l'ascesa al potere dell'Imperatore. È la mente dell'attacco alla prima Morte Nera, l'unico in grado di scoprire l'unico punto debole della stazione supercorazzata.
(28) Tra i personaggi minori più seguiti, Wedge è un pilota di caccia ribelli superdecorato, tra i pochi sopravvissuti alle tre maggiori battaglie della Guerra Civile Galattica. In realtà nel film la battuta viene pronunciata da un attore non accreditato e non dall'interprete Denis Lawson, il quale appare successivamente durante la battaglia all'interno del suo caccia X-Wing. Il caso ha voluto che Lawson sia lo zio dell'attore Ewan McGregor, chiamato a interpretare il giovane Obi-Wan Kenobi ne La minaccia fantasma.
(29) Tutti i vecchi giochi da bar prevedevano l'assegnazione di un punteggio al giocatore per le sue imprese. Lo scopo del gioco agli albori dell'era videoludica era quindi quello di resistere più a lungo ottenendo i punteggi più alti possibili, tali da guadagnarsi il diritto di inscrivere il proprio nome o le proprie iniziali nella top 10 dei migliori giocatori, la cosiddetta Hall of Fame.
30()
(30) Nel 1983 il settore attraversa una fase critica. All'entusiasmo iniziale per i nuovi videogiochi segue una generale sfiducia dei consumatori nei confronti del mercato, che offre una vastissima scelta di prodotti ma di qualità assai scadente: mentre molte aziende produttrici di software sono costrette a chiudere la neonata Lucasfilm Games attende tempi
migliori.
(31) Il giocatore impartiva ordini al proprio alter ego attraverso comandi del tipo "verbo" + "nome": bastava quindi digitare "vai est" o "guarda stanza" perché il personaggio si muovesse in quella direzione o descrivesse l'ambiente in cui si trovava.
(32) Tale nome bizzarro è l'acronimo di SCript Utility for Maniac Mansion, letteralmente "utilità per la scrittura di Maniac Mansion": attraverso questo sistema non c'era più necessità di digitare alcunché, dato che i verbi, posizionati nella parte inferiore dello schermo, potevano essere selezionati con un semplicissimo sistema denominato "punta e clicca".
(33) La storia dei giochi basati su Guerre Stellari è piuttosto complessa. In realtà Star Wars per NES non è il primo gioco ispirato al film del 1977. È però il primo videogame distribuito con il marchio LucasArts (anche se prodotto da JVC); fino al 1993 non ci sarà alcun gioco della Saga prodotto dalla casa di San Rafael. Ciò è dovuto al fatto che fino a tale anno sono durate le licenze di sfruttamento del film concesse ad altre software house.
(34) Il sistema interattivo di musica ed effetti sonori IMUSE è appunto l'acronimo di Interactive MUsic and Sound Effects funziona in modo molto semplice: anziché fornire un commento costante all'azione, lega determinati cambiamenti di partitura al volgere degli avvenimenti, con l'effetto di sottolineare in maniera più accurata eventuali passaggi comici o drammatici della trama.
(35) Tecnica di fotomontaggio spesso utilizzata al cinema e trasportata con successo nei videogame: si tratta di una proiezione rotatoria di una sequenza video o di una serie di fotogrammi, grazie alla quale l'artista può adattare un disegno a uno schema tridimensionale. In questo modo i caratteri non appaiono più piatti, ma dotati di realistica corporeità.
(36) Acronimo di INteractive Streaming ANimation Engine, ossia "motore interattivo per il flusso dell'animazione".
(37) Si tratta dell'opzione che consente finalmente di sfidare non più soltanto il computer, ma anche amici collegati al proprio PC o direttamente o attraverso Internet. A dire il vero tale possibilità riguarda realmente paesi tecnologicamente più avanzati del nostro, dove la lentezza della connessione alla Rete obbliga i più a rinunciare a tale meraviglia.
(38) Tecnica cinematografica che consente di riprendere un attore su un fondo blu e successivamente di scontornarlo per applicarlo a uno sfondo ripreso altrove, o nel caso dei videogame realizzato in digitale.
(39) La serie di gialli incentrata sul private eye Tex Murphy comprende Mean Streets (sic!), Martian Memorandum, Under A Killing Moon (prima avventura con attori in carne e ossa), The Pandora Directive e Overseer. Tutti titoli pubblicati con enorme successo dalla Access Software.
(40) Abbreviazione di coin operated (funzionante a moneta), termine generalmente utilizzato per indicare i giochi da sala.
(41) Per quanto riguarda i giochi editi su licenza l'autore intende ringraziare l'indispensabile aiuto di Jeremy Beckett, Web Master della pagina Internet The Emulator Strikes Back (www.yaface.com/hosted/esb) senza il cui supporto sarebbe stato impossibile ricostruire la preistoria dei videogame su Star Wars. Per quanto riguarda invece la ricostruzione della storia dei giochi pubblicati da LucasArts, un ringraziamento particolare va a Silvia Voltan capo ufficio stampa di C.T.O. S.p.A. (www.cto.it) licenziataria esclusiva per l'Italia dei giochi della casa americana senza il cui aiuto non sarebbe stato possibile rimettere mano ai vecchi giochi su Guerre Stellari.
(42) Una tecnica che usa semplici linee per costruire oggetti tridimensionali, che paiono così fatti di fil di ferro.
(43) Uno dei più celebri videogame di sempre in cui il giocatore deve far rimbalzare una pallina su un muro composto da molti mattoni nel tentativo di distruggerli tutti.
(44) Il mobile che costituisce la struttura portante del gioco da bar.
|
|