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Conte Dooku:
il týrannos tra sogno, utopia e potere


Un'analisi psicologica di Dooku / Darth Tyranus
attraverso Platone e la figura del tiranno greco


di Francesco Vacca

È un Jedi segnato dalle battaglie,
un uomo dai poteri immensi,
sia mentali che fisici.

Christopher Lee riguardo al Conte Dooku


     Il conte Dooku, il "carismatico separatista" di Attack of the Clones, rappresenta la più evidente occasione sprecata da George Lucas nella creazione della sua Saga.
     Un personaggio poliedrico, capace di passare da grande Jedi idealista, a Signore dei Sith, da affezionato Maestro ad abile doppiogiochista.
     Della profondità psicologica e della diversità da altri monolitici villain starwarsiani ne abbiamo già una percezione ad una visione superficiale di Episode II: il Sith, infatti, ci ricorda per certi versi quel Darth Vader di The Empire strikes back e di Return of the Jedi, sempre sul confine con il bene, con il Lato Luminoso. Ma a differenza di Vader, che cede al male e ne viene sopraffatto, con Dooku abbiamo un personaggio di un'intelligenza e una profondità sopra la norma.
     Il grande potenziale del personaggio appare chiaramente, nel secondo episodio della Saga, sottolineato da una ben congegnata graduale entrata in scena. Citato nell'opening crawl, come leader del movimento separatista, e poi da più personaggi durante lo svolgimento del film, soltanto superata la mezz'ora abbiamo l'opportunità di osservare il volto del leader separatista, ma unicamente attraverso il busto bronzeo presente negli archivi del Tempio Jedi.
     E qui, la Jedi archivista descrive ad Obi-Wan Kenobi alcuni tratti psicologici fondamentali per la comprensione e l'approfondimento del conte, in una scena, purtroppo, esclusa dal final cut del lungometraggio e assente anche dalla versione DVD, di cui proponiamo, tradotto in italiano, il relativo frammento dello script.


JOCASTA NU: Ha un volto intenso, non trovate? È uno dei più brillanti Jedi che abbia avuto il privilegio di conoscere.

OBI-WAN: Non ho mai capito perché se ne andò. Solo venti Jedi hanno lasciato l'ordine.

JOCASTA NU (sospira): I Venti Perduti… e il Conte Dooku è stato il più recente e il più doloroso. A nessuno piace parlarne. La sua partenza è stata una grande perdita per l'Ordine.

OBI-WAN: Che cosa era successo?

JOCASTA NU: Be', diciamo che il Conte Dooku non era molto in sintonia con le decisioni del Consiglio… somigliava molto al vostro vecchio Maestro, Qui-Gon Jinn.

OBI-WAN (sorpreso): Sul serio?

JOCASTA NU: Oh, sì. Si assomigliavano per molti aspetti. Erano pensatori molto liberi… idealisti…

JOCASTA NU (continua): Non smetteva mai di sforzarsi di essere il Jedi più potente. Voleva essere il migliore. Con la spada laser, nell'antico stile di duello, non aveva rivali. La sua conoscenza della Forza era… unica. Alla fine, penso, se ne andò perché aveva perso la fiducia nella Repubblica. Secondo lui i politici erano corrotti, e riteneva che i Jedi avessero tradito se stessi servendo i politici. Si aspettava sempre molto dal governo. È scomparso da nove o dieci anni, per poi rifarsi vivo a capo del movimento separatista.

OBI-WAN: Interessante… Non sono certo di aver capito del tutto.

JOCASTA NU: Nessuno di noi lo è.

     Nel dialogo tra Obi-Wan e l'anziana archivista veniamo a conoscenza di almeno tre elementi fondamentali della complessa personalità di Dooku; analizziamoli:

     1.     Il Conte Dooku non era molto in sintonia con le decisioni del Consiglio… somigliava molto al vostro vecchio Maestro, Qui-Gon Jinn. Erano pensatori molto liberi… idealisti…

     Dooku come Qui-Gon. Il Maestro come l'apprendista.
     Le parole di Jocasta Nu ci offrono un interessantissimo flashback del Maestro Jedi Dooku, spesso in contrasto con il Consiglio Jedi e con le sue decisioni, come sappiamo essere stato anche il suo allievo Qui-Gon Jinn — ce lo rammenta l'anziana Jedi.
     Appare quindi evidente come il modus operandi ed il pensiero di Qui-Gon, risentano in realtà di un fortissimo imprinting dovuto alla carismatica personalità del mentore; ma soprattutto esso ci dà, attraverso ciò che abbiamo visto dell'allievo, un'immagine di che tipo di Jedi doveva essere il conte: un idealista, strenuo difensore delle sue idee, spesso in rotta con il Consiglio di cui non ha mai fatto parte ma che lo tiene in gran stima e considerazione.
     Il perché Dooku non sia mai stato membro dei Dodici lo possiamo sempre dedurre dal confronto con Qui-Gon: in The phantom menace, Obi-Wan dice al maestro: "Se tu seguissi il Codice faresti parte del Consiglio!". Segue la significativa affermazione di Qui-Gon: "Io farò ciò che devo, Obi-Wan!".
     Per Dooku il discorso è analogo: egli potrebbe far parte del Consiglio se seguisse il Codice, ma, da idealista qual è, persegue le sue idee, nella ferma convinzione di essere nel giusto.

     L'idealismo di Dooku è un discorso che potremo approfondire in seguito, alla luce di alcune considerazioni, ma, in linea di massima, vale quanto già detto.
     In ogni caso è bene soffermarsi a riflettere su quello che è il rapporto con Qui-Gon, che si può esplicitare del tutto grazie alla scena del dialogo tra il Conte ed un Obi-Wan prigioniero dei geonosiani. Dooku, infatti, afferma in quel frangente di rimpiangere Qui-Gon, il cui aiuto gli sarebbe prezioso.
     Ma non solo!
     Dooku piange l'allievo, l'amato allievo, l'erede spirituale morto anzitempo, che sicuramente avrebbe abbracciato l'utopistico progetto del suo Maestro, contrario com'era alla corruzione e al male che corrodeva il sistema politico repubblicano e l'Ordine Jedi.
     E alla luce di tutto ciò, appare quanto mai veritiera la proposta che Tyranus fa a Kenobi, di unirsi a lui per sconfiggere i Sith, perché, come vedremo, egli non è fedele a Darth Sidious, ma lo usa per raggiungere il suo idealistico fine e spera di poter ottenere, per questo nobile scopo, l'aiuto dell'allievo di Qui-Gon stesso, sperando che, in quanto tale, possa anch'egli abbracciare la sua causa.
     Se al sentito rimpianto, aggiungiamo una buona dose di scaltrezza nel piangere l'allievo caduto davanti ad Obi-Wan e a rammentargli di essere stato il suo mentore, abbiamo una visione di Dooku che spazia dall'amorevole padre spirituale carico d'idealismo, al cinico sfruttatore, che fa leva sull'affetto per guadagnare la preziosa fedeltà del giovane Jedi.

     Altra prova, poi, a difesa della tesi secondo cui Dooku non è affatto totalmente malvagio e vittima del Lato Oscuro, è la richiesta di resa che fa a Windu ed agli altri Jedi, suoi vecchi amici e compagni, nell'arena di Geonosis, o la richiesta di alleanza che fa a Padmè in cambio della vita di Kenobi, come vedremo più avanti.
     Tutti atteggiamenti che rendono il Conte da un lato scaltro sfruttatore o spietato ricattatore, ma dall'altro generoso ed affettuoso idealista.

     2.     Non smetteva mai di sforzarsi di essere il Jedi più potente. Voleva essere il migliore. Con la spada laser, nell'antico stile di duello, non aveva rivali. La sua conoscenza della Forza era… unica.

     La gravità della mancata inclusione della stupenda scena del busto bronzeo aumenta grandemente per l'esclusione di questa battuta, che è direttamente collegata ad un'altra sequenza del film.
     Durante il duello finale tra Dooku e Yoda, infatti, il conte afferma: "Sono diventato più potente di qualunque Jedi, anche di te!".
     Ma lo spettatore non può comprendere il vero significato delle parole di Tyranus, se non è a conoscenza dalle considerazioni di Jocasta Nu che fanno luce sul significato che per Dooku ha "essere il Jedi più potente".
     Insieme all'idealismo, infatti, emerge qui un'altra caratteristica peculiare della personalità del Conte: lui voleva essere il migliore, il più grande Jedi di tutti.
     Possiamo essere certi che, sotto la guida di Yoda, il giovane Padawan Dooku avesse sviluppato in maniera eccellente il suo sicuramente grandissimo potenziale Jedi. A questi elementi, possiamo ipotizzare che ben presto si aggiungesse un'ambizione divenuta, col tempo, smisurata.
     Favorito in partenza da un potenziale non comune (se così non fosse, non sarebbe arrivato ai livelli a cui è giunto) e dall'addestramento da parte del più grande Jedi vivente (e forse, fino ad allora, più grande di tutti) il giovane Jedi Dooku coltivò il sogno e l'ambizione di divenire il migliore in tutte le discipline Jedi, fino a superare il suo grande Maestro.

     A favore di questa tesi abbiamo, oltre che la diretta testimonianza di Jocasta Nu ("Non smetteva mai di sforzarsi di essere il Jedi più potente. Voleva essere il migliore.") anche uno degli elementi che più contraddistinguono il conte: la sua spada laser.
     La lightsaber ad elsa curva, infatti, non è casuale. Dooku, nel suo desiderio di divenire il Jedi più potente, studiò e divenne maestro nello stile arcaico di combattimento, uno stile più adeguato a fronteggiare nemici spadaccini, piuttosto che armati di blaster e, quindi, "anacronistico" in un'epoca in cui ormai nemici abili nell'arte della spada, i Sith, non esistevano più da ormai un millennio. Ma l'ambizioso e raffinato Maestro Jedi riuscì così a divenire il più grande spadaccino Jedi, tanto da non avere più rivali in questa disciplina.
     Tuttavia, ancora non era il più grande Jedi in assoluto: Yoda, dall'alto dei suoi novecento anni, continuava a detenere il "primato".
     E da qui si può cominciare ad analizzare la conversione al Lato Oscuro del grande Maestro Jedi. Innanzitutto è bene puntualizzare come per Dooku il passaggio non abbia rappresentato un cedimento, ma una scelta consapevole per almeno due motivi. Analizziamo, per ora, il primo, ovvero quello dell'opportunità.
     Questo è stato, infatti, per Dooku, il Lato Oscuro, almeno parzialmente.
     Il settantenne Jedi, con alle spalle una vita intera passata ad inseguire il suo sogno di grandezza, aveva probabilmente toccato i vertici di quella che era la conoscenza Jedi e, supponendo verosimilmente che il suo potenziale fosse di poco minore di quello di Yoda, ma comunque minore, avesse raggiunto il suo massimo, sviluppando appieno le sue personali potenzialità, senza più possibilità di crescita o, almeno, con possibilità ormai molto modeste, oppure che avrebbero richiesto tanti anni quanti un uomo settantenne, ormai, non può più sperare di avere.
     Il Lato Oscuro rappresentava la possibilità di ovviare alle barriere che si frapponevano tra lui ed il raggiungimento della sua volontà.
     Non sappiamo come e dove sia avvenuto l'incontro con quello che sarebbe stato suo Maestro nelle discipline Sith, Darth Sidious, ma possiamo ipotizzare il quando. Jocasta Nu, infatti, afferma dinanzi a Obi-Wan che Dooku è sparito circa nove o dieci anni prima, per riapparire solo recentemente alla guida del movimento separatista. È evidente come la data sia approssimativamente quella di Episode I, ovvero quella della morte del suo amato allievo Qui-Gon.
     È molto probabile che la rottura definitiva tra Dooku e i Jedi e la Repubblica, sia stata sancita dalla morte dell'allievo, che rappresentava forse l'ultimo filo che legava il Maestro Jedi all'Ordine.
     Ma proprio in virtù del profondo affetto tra Dooku e Qui-Gon, come avrebbe potuto l'anziano Jedi giurare fedeltà a colui che era, di fatto, responsabile della morte dell'ex Padawan? Non avrebbe potuto, cosa che, possiamo supporre, non ha mai fatto.
     Darth Sidious da mortale nemico deve essere diventato, quindi, un'opportunità, agli occhi di Dooku, per raggiungere i suoi obiettivi. Il Sith era l'unico che avrebbe potuto spalancargli le vie conoscitive del Lato Oscuro, un sapere inedito per il Jedi che, unito all'esperienza e alle capacità derivanti dalla dottrina Jedi, l'avrebbero reso più potente di qualunque Jedi: tanto di Yoda, che della Forza conosceva solo il suo Lato Luminoso, quanto di Sidious che, al contrario, ne conosceva solo il Lato Oscuro: Dooku sarebbe diventato il supremo conoscitore della Forza.
     E alla luce di queste considerazioni, partendo dall'affermazione di Jocasta Nu ("Non smetteva mai di sforzarsi di essere il Jedi più potente. Voleva essere il migliore.") torniamo con rinnovata cognizione al momento dello scontro tra Yoda e Dooku, in cui il Jedi rinnegato afferma: "Sono diventato più potente di qualunque Jedi, anche di te!"
     Ma purtroppo per lui, come sappiamo, era in fallo: il Maestro Yoda dimostrava, quantomeno, di eguagliarlo!

     3.     Se ne andò perché aveva perso la fiducia nella Repubblica

     L'ultima parte dell'analisi e dello svisceramento dei contenuti della cut scene del busto bronzeo, tocca un argomento già parzialmente analizzato: quello dell'idealismo del Conte Dooku.
     Per la globale comprensione dell'aspetto caratteriale, però, è bene fare riferimento a un'altra scena tagliata di Attack of the Clones, ovvero Dooku interrogates Padmè.
     È incredibile come una seconda volta una scena importantissima per il personaggio in analisi sia stata eliminata dalla versione cinematografica del film, trovando spazio (ma solo in parte) esclusivamente come contenuto extra nel DVD, e rendendo così veramente negativa la condizione del personaggio che, non approfondito a dovere, rimane svilito e banalizzato o, comunque, non adeguatamente contestualizzato.
     Della scena in questione proponiamo, come nel caso precedente, il frammento di script tradotto in italiano.



PADME': State trattenendo un Cavaliere Jedi, Obi-Wan Kenobi. Vi chiedo ufficialmente di consegnarmelo subito.

CONTE DOOKU: È stato condannato per spionaggio, senatrice, e sarà giustiziato. Tra qualche ora, credo.

Il Conte Dooku sorride.

PADME': È un funzionario della Repubblica. Non potete farlo.

CONTE DOOKU: Non riconosciamo la Repubblica qui, senatrice, ma se Naboo entrasse nella nostra alleanza, potrei facilmente dare ascolto alla vostra richiesta di clemenza.

PADME': E se non entrassi nella vostra ribellione, immagino che morirà anche il Jedi qui con me.

CONTE DOOKU: Non voglio che abbracciate la nostra causa contro la vostra volontà, senatrice, ma voi siete una rappresentante avveduta e onesta del vostro popolo e suppongo vogliate fare ciò che è meglio per loro. Non siete stanca della corruzione, dei burocrati e dell'ipocrisia? Non lo siete? Siate sincera, senatrice.

PADME': Gli ideali sono ancora vivi, Conte, anche se l'istituzione si sta sgretolando.

CONTE DOOKU: Credete nei nostri stessi ideali! Gli stessi ideali che ci sforziamo di far valere.

PADME': Se ciò che dite è vero dovreste rimanere nella Repubblica ed aiutare il Cancelliere Palpatine a mettere a posto le cose.

CONTE DOOKU: Il Cancelliere ha buone intenzioni, Milady, ma è un incapace. Ha promesso di eliminare la burocrazia, ma i burocrati sono più forti che mai. La Repubblica non può più essere riparata, Milady. È tempo di ricominciare. Il processo democratico nella Repubblica è un inganno, un gioco per far leva sugli elettori. Verrà il giorno in cui il culto della cupidigia chiamato Repubblica non avrà nemmeno la scusa della democrazia e della libertà.


     Questa scena è fondamentale per comprendere appieno il pensiero e gli ideali politici del conte: come vediamo Dooku si schiera apertamente contro la burocrazia e la corruzione imperante della Repubblica, scegliendo però una via netta ed estrema, quella della secessione, nel tentativo di creare un ideale modello politico: un'utopia.
     Che Dooku sia mosso da specifici ideali lo afferma egli stesso ("Credete nei nostri stessi ideali! Gli stessi ideali che ci sforziamo di far valere") notando, e a ragione, che quegli stessi ideali sono vivi anche in Padmè, solo sono diametralmente opposte le vie tramite cui i due personaggi agiscono per combattere le piaghe della Repubblica.
     Il pensiero del conte riguardo alle modalità di azione in campo politico, infatti, è esplicitato in una fondamentale battuta: "La Repubblica non può più essere riparata, milady!".
     Con questa affermazione Dooku, pur condividendo appieno gli ideali che muovono anche la Senatrice, si schiera in modo nettamente diverso, prediligendo, come già detto, una via ideale ed utopistica.
     A un'analisi più approfondita del personaggio possiamo ipotizzare che l'idealismo del Maestro Jedi Dooku, strenuo difensore delle sue cause davanti ad un sempre avverso Consiglio, sia sfociato nell'idealismo estremo ed utopistico del Signore dei Sith Darth Tyranus, secondo modalità su cui la filosofia platonica ci può aiutare a far luce.

     Un parallelismo rovesciato: l'ideale e l'utopia in Platone e Dooku

     Per approfondire l'analisi del conte è bene soffermarsi su una breve introduzione al filosofo greco.
     Platone (Atene, 428-347 a.C.) fu il più grande allievo di Socrate, nel quale maestro egli vedeva la personificazione degli ideali di giustizia e di superamento della crisi politica del tempo. La società all'epoca di Socrate e di Platone, infatti, segna l'inizio della crisi della società delle poleis, segnata dalla sconfitta ateniese nella Guerra del Peloponneso (404), e dalla fallimentare esperienza politica dei Trenta Tiranni (404-403), a cui seguirà una restaurazione democratica che, però, nulla avrà più a che vedere con la democrazia periclea.
     Socrate, "l'uomo più giusto di tutti", rappresenta per Platone insieme il simbolo della crisi della società e della speranza di superamento di questa crisi. Simbolo di crisi in quanto sarà proprio la società ormai in piena decadenza a condannare a morte Socrate, simbolo del superamento, invece, per ciò che la sua filosofia ha portato: insegnamenti etici che andavano ben oltre al relativismo sofistico imperante nel panorama filosofico dell'epoca.
     E su queste considerazioni possiamo azzardare un primo, ardito, parallelismo "rovesciato" tra il filosofo greco ed il carismatico separatista: come per Platone, abbiamo detto, Socrate rappresenta il simbolo di una società in piena crisi che arriva a decretarne la morte, per Dooku, Qui-Gon può ugualmente aver rappresentato il segnale definitivo della crisi dei Jedi: se i guardiani di pace e giustizia, infatti, non si sono resi conto della colossale minaccia che stava risorgendo dalle ceneri del passato, i Sith, neanche quando il grande Qui-Gon, reduce dal duello con Darth Maul, avanza questa ipotesi, significa che sono ormai ciechi ed impotenti, tanto da causare, seppur indirettamente, la morte del Jedi. Allo stesso modo è scontato che il combattivo ed idealista Qui-Gon rappresentasse per il suo Maestro, con il suo pensiero, i suoi metodi e la sua battaglia per la giustizia, una speranza di superamento della crisi imperante, esattamente ciò che Platone vedeva in Socrate.
     Abbiamo solo invertito i ruoli di maestro ed apprendista, ma il paragone calza.
     E continuando l'analisi del filosofo, possiamo notare altre interessanti similitudini. Platone considerava, infatti, la crisi politica come conseguenza di una crisi di tipo individuale ed intellettuale. Per una soluzione dei problemi politici si sarebbe quindi dovuti ricorrere ad una riforma dell'esistenza umana a partire dall'individuo, che avrebbe dovuto ricercare le certezze mancanti in un rinnovato pensiero filosofico per arrivare, infine, a rinnovare il sistema politico.
     E anche qui possiamo di nuovo scorgere un parallelismo con il conte Dooku.
     Come accennato in precedenza, due sono le cause del passaggio al Lato Oscuro del Jedi, o meglio della scelta del Lato Oscuro: abbiamo analizzato quello dell'opportunità ed ora possiamo trattare quello dell'ideale.
     Dooku infatti, alla vigilia della conversione, non trova più nel Codice Jedi quei valori e quelle certezze che, perlomeno in parte, aveva condiviso nel suo passato. Il Consiglio, impotente ed assoggettato ad una politica burocratica e corrotta è agli antipodi del suo ideale sistema politico e filosofico (se con filosofico vogliamo intendere la filosofia Jedi, in quanto l'Ordine, come affermato nella novelization di The phantom menace, è anche un Ordine filosofico, oltre che religioso e guerriero). Il conte quindi scorge nel "rinato" Lato Oscuro una nuova certezza di pensiero, forte e assoluta, che si contrappone al decadente Lato Luminoso, minato da Jedi ciechi alla Forza e dai legami con la politica della Repubblica in crisi.
     Una nuova certezza e dei nuovi valori che non annullano ciò che del Lato Luminoso per il conte continua ad essere un valore, ma che si sostituiscono parzialmente alle sue dottrine che ormai non condivide più.
     Da questo interiore rinnovamento, quindi, Dooku costruisce il suo utopistico ed idealistico progetto politico. Come visto nella scena tagliata Dooku interrogates Padmè, infatti, il movimento separatista è guidato anche da motivi idealistici, oltre che da ambizione e sete di potere, che sappiamo essere tutti elementi della personalità di Dooku. Quegli stessi ideali che condivide la stessa Padmè, pur agendo in modo diametralmente opposto: la senatrice agisce per un "risanamento" della decadente Repubblica, mentre il conte affermando che "la Repubblica non può più essere messa a posto", si pone agli antipodi, portando avanti un progetto rivoluzionario di ricostruzione da zero di quella che è la politica della galassia, un'utopia che può essere avvicinata al pensiero platonico de La Repubblica.

     Il týrannos

     Da questo rinnovamento il Conte Dooku rinasce come Darth Tyranus, Signore dei Sith. E il nome non è casuale, ma richiama esplicitamente il tiranno, o meglio il týrannos dell'Antica Grecia. Il termine non è da vedersi nella sua accezione negativa moderna, ma nel significato originario greco di "signore". Il tiranno greco, infatti, non era necessariamente un dispotico dittatore, ma più semplicemente un aristocratico con grandi capacità politiche che governava la città-stato e a cui il popolo si affidava per risolvere conflitti spesso interni, non essendoci uomini di origine popolare che fossero esperti di politica.
     E Dooku, corrisponde appieno alla figura del týrannos, dell'aristocratico esperto di politica a cui, in questo caso non tanto il popolo quanto le gilde commerciali e, presumibilmente, i governatori dei vari pianeti e sistemi stellari, si appoggiano alla ricerca di una guida sapiente che li conduca al di fuori dalla crisi della Repubblica.

     Dooku: un potenziale sprecato

     Al termine di questa analisi sorge spontanea una domanda: come mai Lucas ha creato un personaggio dalle potenzialità tanto grandi come il conte Dooku per poi lasciarlo quasi del tutto inutilizzato, non solo senza praticamente sfruttarlo, a quanto pare, nell'ultimo capitolo della Saga, ma anche eliminando dal final cut di Episode II le scene chiave che aprono le porte della comprensione della sua complessa personalità?
     Possiamo solo ipotizzare che l'autore stesso non abbia avuto la piena percezione delle possibilità che il personaggio offriva, che sarebbe giusto trovassero compimento almeno al di fuori di quello che è il ciclo narrativo lucasiano in senso stretto.







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