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Simbiosi, solidarietà, gratuità

di Davide Canavero


     Se c'è un concetto che è impossibile sfugga durante la visione di The Phantom Menace è quello di simbiosi. Ci viene proposto in almeno due momenti chiave del film: la richiesta di aiuto dei Jedi ai Gungan a Otoh Gunga, richiesta inizialmente respinta, e la lezione di Qui-Gon Jinn ad Anakin — con l'introduzione della sorprendente dottrina dei midichlorian.

     Tutte le cellule viventi di tutte le creature dell'universo contengono mitocondri, forme di vita arcaica dalle quali dipende l'esistenza delle forme più complesse. I Jedi chiamano quei microorganismi "midichlorian", ritengono che siano dotati di una loro rudimentale coscienza e soprattutto che comunichino con la Forza.
     Ogni essere vivente, di ogni specie, senziente o meno, vive in simbiosi con i midichlorian; e così è stato da sempre nella storia dell'evoluzione. La vita, stando ai Jedi, è nata proprio quando i midichlorian hanno assunto il ruolo di simbionti nei confronti delle prime cellule organiche, inaugurando un modulo vitale ed evolutivo destinato (o finalizzato?) a far nascere esseri senzienti in grado di percepire e utilizzare la Forza a pieno titolo: ma questo sempre grazie ai midichlorian, che rimangono al principio della catena della vita, in quanto unici veri intermediari della Forza. In ultima analisi, è la Forza a far sussistere la vita, risultandone alimentata a sua volta: dunque anche quello tra la Forza e la Vita è un rapporto di simbiosi, che si fa osmosi e sfuma fino a far identificare le due realtà.
     Quando vediamo una creatura che cammina noi non vediamo solo un essere vivente ma una collettività, un cerchio simbiotico, una collaborazione tra esseri molto diversi tra loro che vivono insieme con reciproco beneficio. La mancata consapevolezza di questo rapporto di dipendenza non pregiudica l'equilibrio. A livello microscopico tutto è automatico: la volontà degli esseri senzienti non è chiamata in causa nel rapporto di simbiosi affinché questo sia stabile e proficuo. Ignorare l'esistenza dei midichlorian o, conoscendola, disinteressarsene non ha conseguenze di alcun tipo.
     Questa è pura, semplice, asettica simbiosi — nella sua accezione biologica.

     Il giovane e serissimo Jedi Obi-Wan Kenobi, dinanzi al rifiuto del burbero Boss Nass alla richiesta di aiuto ai naboo, si affretta a spiegare che i gungan e i naboo formano un cerchio simbiotico, una coppia di realtà viventi (in quel caso due cospicue comunità) legate indissolubilmente da un legame impalpabile quanto sostanziale. Ciò che accade agli uni si ripercuote sugli altri; la morte degli uni porta alla morte degli altri.
     Occorre mettere da parte rancori, diffidenze e soprattutto l'orgoglio.
     Bisogna riconoscere che si è parte di un tutto, accettando il proprio posto nel creato. Come ogni altra grande lezione anche questa, se analizzata, porta all'insegnamento principe: reprimere la superbia. Questo dovrebbe essere il pilastro di tutta l'etica umana. Ogni atto di tracotanza, ogni "peccato" è —nel suo nulceo— un atto di superbia. La superbia spezza l'equilibrio della Natura, rendendoci inconsapevoli della simbiosi che ci lega alle altre creature. L'illusione della quale si sostanzia la superbia è quella dell'autarchia, il credere di poter bastare a se stessi. È falso: ogni essere ha bisogno dell'aiuto degli altri; solo quando sa accettare questa dipendenza, solo quando sa inchinarsi come Padme / Amidala fa dinanzi a Boss Nass, può sperare di risolvere i suoi problemi.

     La diffidenza dei gungan nei confronti dei naboo derivava dal fatto che gli anfibi credevano gli umani superbi, pieni di sé, convinti del proprio primato intellettuale e culturale; ovviamente i gungan non avevano nessuna intenzione di passare per dei selvaggi trogloditi, poiché non lo sono affatto, come dimostra il loro più che rispettabile livello tecnologico. Era proprio il reciproco pregiudizio a tenere separate le due società di Naboo, impedendo loro di conoscersi scoprendo (e mettendo in comune) le ricchezze culturali e tecnologiche rispettivamente e autonomamente prodotte.
     Il pregiudizio impediva quindi ai due popoli di concepire il proprio rapporto come un rapporto di simbiosi. Entrambi ignoravano questo concetto. Della simbiosi non sfruttavano i vantaggi —il reciproco arricchimento che poteva derivare da una collaborazione delle due culture— ma in compenso stavano per subirne solo gli aspetti negativi: "Una volta che quei droidi controlleranno la superficie controlleranno anche voi", aveva detto Obi-Wan a significare che, se ci si disinteressa del proprio vicino, presto o tardi gli effetti dell'equilibrio naturale turbato si ripercuoteranno anche sugli altri membri del cerchio simbiotico. La natura è un grande ecosistema fatto di flora, fauna, e civiltà. C'è qualcosa di profondamente "ecologico" in questo concetto.
     L'atto di umiltà di Padme / Amidala —che rinnova l'eterno miracolo del libero arbitrio usato per il bene— cancella con disarmante facilità ogni diffidenza, assecondando il desiderio di rivalsa dei gungan, forse lusingandoli, in un certo senso; ristabilisce non il cerchio simbiotico in sé, che era sempre rimasto una realtà oggettiva e mai avrebbe smesso di esserlo, fino al giorno in cui la morte di una delle due civiltà avesse causato quella dell'altra; l'umiltà ricrea piuttosto la coscienza di essere immersi in un rapporto di simbiosi, ristabilisce l'equilibrio aprendo le porte alla collaborazione; la quale, il più delle volte, fa la differenza tra la rovina e la salvezza (1).

     Impossibile non notare che nel concetto di simbiosi c'è un forte elemento di interesse: dobbiamo aiutare gli altri o noi stessi patiremo delle conseguenze negative. Aiutarsi, nel caso di due popoli, è doppiamente vantaggioso: in primo luogo si mette in comune un patrimonio di conoscenze che può arricchire entrambe le società; e inoltre ci si lega in alleanze che prevedono il reciproco soccorso in caso di bisogno. In secondo luogo fare un passo verso il nostro vicino, a ben vedere, è quasi una scelta obbligata se non vogliamo che, nel disinteresse, la sua rovina possa causare alla lunga anche la nostra.
     Nonostante le buone intenzioni e gli improvvisi gesti di umiltà, sembra fare capolino lo spettro della convenienza, forse anche del calcolo premeditato.

     Ma c'è qualcuno che dona senza pensare alla ricompensa: si tratta di un bambino di circa nove anni, uno schiavo che vive su un remoto pianeta desertico, Tatooine. Non aiuta solo coloro con cui si sente in simbiosi, non aiuta solo chi in un certo senso è costretto ad aiutare. No: Anakin —questo il suo nome— aiuta la vecchia Jira in ogni modo, con mille attenzioni quotidiane; aiuta, contro ogni logica, un minaccioso predone Tusken ruzzolato giù da un dirupo, che certo non fa nulla per sdebitarsi; e soprattutto è pronto ad aiutare senza esitazione degli stranieri venuti dalle stelle, impossibilitati a ripartire, con i quali non ha alcun rapporto di interesse.
     "Mamma, tu dici sempre che il problema dell'universo è che nessuno aiuta gli altri" — una predica stucchevole, secondo alcuni; una verità, secondo la natura delle cose. È così: Anakin è un giovane e luminoso essere vivente pieno di entusiasmo e fervore, che sa cosa è giusto fare e vuole farlo.
     Meglio tacere ciò che il piccolo diventerà, meglio non pensarci nemmeno: l'idea della sua futura abissale perdizione è insostenibile, fonte di profondissimo sgomento; di pietà e paura quali solo le tragedie antiche sapevano suscitare. Chi aiuta gli altri esseri nell'orizzonte della simbiosi trova una ragione del suo agire nell'utile e nell'equilibrio naturale, che conviene sia ristabilito. Ma chi aiuta nel più puro disinteresse, nella più totale gratuità, quando si trova faccia a faccia col volto cupo e triste della vita rischia di trasformare il suo bagaglio di luminosa bontà in un fardello di frustrazione e odio che lo trascina verso il basso.
     Questo è esercizio del libero arbitrio al più alto grado. Tremendo, nel bene e nel male.





     Note:
(1) A questo proposito è interessante riportare parole dello stesso Lucas: "La natura umana sta in una costante battaglia tra l'essere totalmente assorbiti da se stessi, ed il cercare di essere creature sociali. La natura ci crea come animali comunitari. La creatura più totalmente incentrata su di sé è una cellula cancerogena; e noi, almeno per la maggior parte non siamo fatti di cellule cancerogene. Portando la nozione su larga sala, dobbiamo capire che il mondo ha una struttura largamente cooperativa, non solo nei confronti dell'ambiente, ma anche verso gli altri esseri umani, e se non lavoriamo insieme per tenere in piedi l'intero organismo, questo muore, e noi con lui. Questa è una legge della natura, è sempre esistita e sempre esisterà. Noi siamo tra le poche creature che hanno capacità di scelta, ed un intelletto per razionalizzarla. La maggior parte degli organismi viventi o si adatta e diviene parte del sistema o viene spazzata via. L'unica cosa che noi dobbiamo adattare è il nostro cervello, e se non lo usiamo per adattarci, non sopravviveremo".





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