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(Dimmi come vesti e ti dirò... da dove vieni)
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     Regina Amidala

     Il discorso sull'aspetto di Amidala si complica rispetto agli altri personaggi nella misura in cui gli abiti che ella indossa sembrano continuamente moltiplicarsi. Non solo la regina non è caratterizzata da un unico look, ma al contrario ne ha uno diverso per ogni occasione; letteralmente.
     Tuttavia una semplificazione può essere fatta: la maggior parte degli abiti di Amidala sono di chiara ispirazione orientale, e stavolta non solamente nipponica. Cominciamo con l'abito sfoggiato ne La Minaccia Fantasma in Senato, durante la denuncia dell'aggressione a Naboo. Questo abito è tolto di peso dalla tradizione mongola, make-up incluso, come dimostra in maniera incontrovertibile questa foto tratta dal National Geographic del maggio 1921, che raffigura una nobildonna mongola vestita in maniera molto simile ad Amidala (identica la complessa pettinatura), e nascosta sotto lo stesso trucco facciale.



     Il trucco bianco, che serve a creare un modello ideale di bellezza e a cancellare i tratti somatici individuali, è tipico anche del teatro kabuki giapponese (foto a sinistra). Per la Regina Amidala si è fatto ricorso all'analogo trucco mongolo, che in più ha le decorazioni rosse, in primis i due pallini sulle guance; ma con il medesimo scopo del trucco kabuki, cioé nascondere i tratti somatici e rendere credibile la copertura dell'ancella Sabé, la quale, tinta di biacca, appare identica a Padmé.


     Il vestito grigio con fascia addominale indossato negli appartamenti di Palpatine prima del discorso in Senato tradisce le sue origini fin troppo apertamente: deriva dal kimono delle geishe giapponesi, delle quali riprende anche il trucco (sempre analogo a quello del kabuki) e, nel caso dell'abito post-discorso, anche l'acconciatura.


     Restando nell'ambito ormai familiare dell'estremo oriente, come non notare la somiglianza del copricapo indossato da Amidala insieme all'abito della sala del trono con quelli delle danzatrici tailandesi?


     Gli sfarzosi costumi tipici del carnevale di Venezia fanno capolino nell'elaborato vestito che Amidala indossa durante la fuga da Naboo. Ma c'è anche un forte influsso di certi abiti ricchi di pizzi dell'epoca elisabettiana (e Amidala, con la sua rigida postura, non ricorda forse Elisabetta I? L'opposizione alle armate della Federazione non richiama forse Elisabetta alle prese con l'Invincibile Armata spagnola?): si veda l'abito della festa a Naboo.


Sopra, uno sfarzoso costume del carnevale di Venezia; a destra, l'abito indossato da Amidala durante la fuga da Naboo.



     Principessa Leia Organa

     Che Lucas fosse un patito di Flash Gordon nessuno lo ignorava: è noto che nel 1970 il suo progetto era proprio quello di riportare al cinema le avventure dell'eroe creato da Alex Raymond. Ma che pescasse da quel modello persino le pettinature...! La buffa acconciatura di Leia in A New Hope testimonia un tributo diretto, una citazione visiva esplicita della regina Fria.




     Luke Skywalker

     Il modello della veste da agricoltore di Luke, quella indossata abitualmente su Tatooine e poi durante tutto A New Hope, è evidentemente il kimono dei karateka e dei judoka. La foggia della divisa è la stessa, tutto coincide, dal colore al taglio; persino la cintura offre la stessa immagine, anche se in SW essa è ovviamente una bandoliera piena di armi, attrezzi, dispositivi di varia utilità. L'unica differenza sta nel fatto che il kimono usato nella pratica delle arti marziali lascia i piedi scalzi, mentre Luke ha ovviamente dei calzari di stoffa.
     Il colore bianco dell'abito di Luke non è certo casuale: esso fa parte del codice cromatico tipico di A New Hope: bianchi tutti i buoni (Luke, Leia, gli ufficiali e in parte i soldati ribelli), neri tutti i malvagi (gli imperiali, Darth Vader in particolare; a eccezione delle truppe), secondo una schematica quanto commovente bipartizione favolistica. Il bianco simboleggia, evidentemente, la purezza e l'innocenza del giovane Luke, pieno di ideali, certezze e slanci, convinto, appunto, che il mondo sia squadrato in buoni e malvagi.


     Quando, ne L'Impero colpisce ancora, il giovane Jedi comincia ad affrontare le prime vere prove della vita —un duro addestramento che lo rende impaziente, poi il tragico confronto col padre, che rivoluziona la sua vita— lo vediamo vestito di una giacchetta grigia, il grigio dell'incertezza, non ancora nero, ma neppure più bianco: l'innocenza è perduta, la vita ha rivelato il suo volto complesso e tragico e la tentazione del Lato Oscuro si fa avanti attraverso l'impazienza, l'ira, il dubbio.
     Ne Il Ritorno dello Jedi Luke ha superato l'incertezza: ma il suo colore non torna bianco, perché l'innocenza non può essere recuperata. È avvolto in un abito nero attillato. Ciò non significa che Luke abbia abbracciato il Lato Oscuro; tuttavia ci andrà davvero vicino nel confronto finale col padre Vader, che come lui è avvolto nel nero più cupo. La simmetria tra i due, i cui destini sembrano sovrapporsi, è sottolineata anche da molti altri elementi, come la mano mozzata. La tentazione del male sarà vinta; e il nero verrà a significare proprio il superamento di questa prova.
     In nessun personaggio della saga più che in Luke l'aspetto esteriore è un rimando costante non solo alla natura del singolo, ma persino a ciascuna tappa della sua evoluzione.




     Han Solo

     Mercenario, abile con le armi, inaffidabile, contrabbandiere, giocatore d'azzardo e baro, ma all'occorrenza coraggioso e altruista: Han Solo è il ritratto del romantico fuorilegge, l'eroe col suo fidato destriero (il Millennium Falcon), più un pizzico di Robin Hood, che al suo fianco ha l'enorme Little John (Chewbacca). Non serve una laurea per accorgersi che il costume di Han Solo è praticamente preso di peso dal Far West: l'aspetto della simpatica canaglia è in tutto e per tutto corrispondente a quello del tipico pistolero, eccezion fatta per il cappello, che sarebbe stato davvero un po'... eccessivo! Lucas, nonostante non abbia remore a pescare a piene mani da iconografie esistenti, non oltrepassa mai un certo limite, un limite indefinibile varcato il quale il "sense of wonder" straniante del suo universo fantastico sconfinerebbe nel non credibile, o nel ridicolo vero e proprio. Le note stonate in Star Wars non sono certo molte, e date le regole eversive che l'Autore si era dato il rischio era davvero grande. Onore al merito, dunque. Lucas ha sempre saputo far sì che tutti gli elementi visivi della sua epopea, pur provenendo da modelli disparati, si amalgamassero con uno strabiliante realismo: il che era tutt'altro che scontato.




     Yoda

     Yoda è un personaggio che unisce un'apparente svagatezza a una profonda e ieratica saggezza: quando Luke incontra quella specie di buffo folletto non può lontanamente immaginare che si tratta del grande maestro Jedi che è venuto a cercare. L'aspetto di Yoda costituirà lo spunto per la fondamentale lezione sulla differenza tra essere e apparire.
     In molte culture esistono figure di asceti / cacciatori che vivono in simbiosi con un certo ambiente —una montagna o una foresta, di solito— e con gli animali che ne fanno parte, per nascondersi agli occhi del mondo, anche simulando una natura ingenua o sciocca. Tutto questo ritroviamo in Yoda.
     Se nel primissimo schizzo non era niente più che un comune gnomo delle tradizioni nordiche, quando assume il suo aspetto definitivo Yoda ha una coloritura —ancora una volta— fortemente orientaleggiante: diviene la versione fantastica di un piccolo, anziano, rugoso maestro zen; o del buffo maestro taoista Gama Sennin (qui a destra).



     Jabba The Hutt

     Jabba era stato concepito da Lucas fin dall'inizio come una creatura non umana, di forma e aspetto disgustoso. Doveva forse avere caratteristiche simili a quelle di una lumaca (occhi su peduncoli: un tratto che erediterà Jar Jar) ma anche peli. Quando A New Hope fu girato, nel 1976, il tarchiato attore Declan Mulholland interpretò lo Hutt, in attesa di sostituire il suo girato con una creatura in stop motion; ma i limiti di budget fecero tagliare la scena, reintegrata nella Special Edition del '97. Il vero Jabba appare per la prima volta nel 1983, ma il suo design ufficiale viene messo a punto nel 1981, durante la preproduzione di Return of the Jedi.
     In quello stesso anno Frank Herbert dava alle stampe God Emperor of Dune, il quarto capitolo di una saga che Lucas aveva letto fin dagli anni '60 e la cui influenza su Star Wars non aveva mai negato. In quel libro il figlio di Paul Atreides, Leto II, è diventato un verme delle sabbie di Arrakis che conserva solo pochi tratti umani (il volto e due corte braccia). Difficile pensare che Lucas non abbia gettato uno sguardo al nuovo capitolo di uno dei suoi modelli e non abbia istituito, insieme al suo team di creativi, un collegamento tra Leto II "vermificato" e il vermone Jabba. È utile ricordare anche che quando Jabba mette alle corde Han Solo per farsi ripagare il carico abbandonato dalla nostra canaglia preferita, precisa che si trattava di un carico di... "spezia". Serve dire altro?




(segue)
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