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Innocenza e Orrore:
riflessioni su Jedi vs Sith


di Davide Canavero

     Capita -e non di rado- che ai lunghi esilii seguano rimpatriate all'insegna dei bei ricordi, che naufragano però nella disillusione: il tempo ha santificato nella memoria ciò che in realtà vale ben poco fuori dall'ambito privato del nostro mondo di affezioni e abitudini.
     Con i fumetti di Star Wars mi è capitato l'esatto opposto.
     Avevo lasciato alle mie spalle nel '99 produzioni mediocri, ammuffite in un triste calando iniziato dopo la chiusura delle serie migliori degli anni precedenti, Dark Empire e Tales of the Jedi. E non confortava vedere tradotti nelle nostre edicole "Imperi Cremisi" o avventure improbabili di improbabili spie imperiali dalla chioma vermiglia (che sia un'ossessione quella del rosso?); per tacere di Boba Fett: Enemy of the Empire e soprattutto di Vader's Quest, forse la più stomachevole occasione mancata del panorama fumettistico, non solo starwarsiano.
     Nel frattempo, nel 2001, faceva la sua comparsa senza troppo clamore una serie che attirò immediatamente la mia attenzione, in primo luogo per il tema e poi per l'epoca della sua ambientazione: la grande battaglia di Ruusan dei Jedi contro i Sith, di 1000 anni antecedente i film lucasiani. Un nuovo salto nel passato "storico" di Star Wars, benché non etichettato Tales of the Jedi; la promessa di scoprire chi fosse Darth Bane e come fossero nati i moderni Sith, i "Darth"; una storia che discendeva direttamente da Episodio I, da precisi riferimenti dello script e non dalla mania dello spin-off gratuito altre volte sopportata; e infine delle premesse spiccatamente epiche che esulavano dal fumetto medio. Una serie che nasceva, dunque, sotto buoni se non ottimi auspici.
     Il "ritorno a casa" nel mondo dei fumetti originali di Star Wars alla fine c'è stato e si è rivelato più gratificante del previsto e dello sperabile. Certo, sapevo che la storia ruotava attorno a dei bambini, e forse era questo l'unico motivo di diffidenza. Una nuova storia su dei mocciosi: non ne abbiamo già avute abbastanza? non abbiamo già pagato un tributo troppo alto al mondo dell'infanzia dal tempo degli ewok ad oggi?
     Sono bastate due pagine di fumetto per accorgermi che in questo caso la prospettiva fanciullesca è tutto fuorché un limite; è anzi il vero punto di forza di questa serie. È proprio attraverso gli occhi e i cuori dei bambini che riusciamo a renderci conto appieno dell'orrore della guerra e -in senso lato- della malvagità degli esseri senzienti.
     La spada laser rosso sangue del taciturno Darth Bane, carismatico Signore Oscuro, falcia senza pietà, senza il suono di una parola, come la falce della Morte. E attinge la vita di bambini semplicemente per impossessarsi di un mezzo di locomozione. Poco più avanti due gemelli dagli occhi grandi e dal crine d'angelo vengono spazzati via insieme a una porzione di astronave. Prima della fine del primo dei sei albi un'altra bambina finisce tra le grinfie dello stesso Sith, usata per dimostrare a un padre troppo coraggioso -sprezzante il dolore fisico- che ci sono altre forme di dolore alle quali non si può resistere.
     Per molti versi un fumetto sconcertante per chi ricordava certe stucchevoli e innocue vicende fumettistiche dell'expanded universe. I drammi qui hanno il sapore e lo spessore della realtà, senza concessioni all'edulcoramento ma anche senza uno splatter gratuito; un bilanciamento encomiabile.
     Storia sui bambini, certo, ma non per i bambini. E con un villain molto carismatico, che all'inizio non parla e uccide - ciò che Darth Maul avrebbe potuto essere e non è stato appieno.
     Diamo dunque uno sguardo agli eventi sorprendenti di Jedi vs Sith.

     La strage degli innocenti

     L'antefatto ci mostra una scena emblematica. Un gruppo di fratellini si imbatte nei resti di una battaglia tra Jedi e Sith: i piccoli raccolgono spade e pezzi di corazze di grandi guerrieri; un presagio oscuro di quello che sarà il tema dell'opera, l'incontro violento tra l'infanzia e la brutalità della guerra e del male.

     La Rovina (Darth Bane, l'"oscura rovina", appunto) fa il suo ingresso in scena subito, trasformando il gingillo in mano ai bambini —una spada laser Sith— in una falce di morte che miete vittime con cieca spietatezza, degna di bibliche morti dei primogeniti e stragi degli innocenti.

     La scena si sposta sul pianeta Somov Rit, dove tre litigiosi ragazzini sensibili alla Forza —Tomcat, Bug e Rain, protagonisti della miniserie— vengono raccolti da Torr Snapit, un anziano maestro in cerca di reclute per rafforzare le file dei Jedi a Ruusan. Alla frase: "La Forza è possente in loro; con un buon maestro possono solo migliorare", il vecchio Jedi replica con un raggelante: "Se sopravvivono". Superfluo sottolineare quanto aderente alla realtà storica delle guerre sia questa prospettiva. Una battuta che da sola basta a capire che in Jedi vs Sith non c'è traccia di ammorbidimenti, assenti nella trama e nei dialoghi, sovente improntati al sarcasmo tagliente alla Han Solo —del quale siamo orfani ormai da troppo tempo, (sperando in Ep2)— o a una tragicità discreta e mai strillata. Disillusione, orrore; sono queste le parole chiave che attraversano la serie in filigrana.
     I cugini amici-nemici Tomcat e Bug litigano oltre i cliché del battibecco brillante: nel loro furore, infatti, c'è un seme del male che verrà. Il ribelle diverrà un Jedi, l'idealista un Sith. Disillusione, orrore. E ribaltamenti, perché se c'è una cosa che non manca a questa storia è proprio la capacità di spiazzare, al di là del solito banale colpo di scena.

     A Ruusan la vittoria contro i Sith sta costando cara: Lord Hoth, il disilluso leader delle armate Jedi, si rende conto che per annientare la tenebra anche la luce, forse, dovrà perire. Bisogna ormai contare sulle nuove reclute: bambini. Non c'è alternativa, se non si vuole che siano i Sith a mandarli contro i Jedi.
     L'infanzia è il vero campo di battaglia — è questo il forte, crudo, sincero messaggio di Jedi vs Sith. È sempre sulla pelle dei bambini che vengono combattute le guerre, più o meno direttamente, sia che essi scendano in campo sia che soffrano di riflesso; il mondo rovinato, in ogni caso, è il loro.

I giovanissimi Jedi in cerca di avventura trovano pane per i loro denti prima ancora di toccare terra su Ruusan: tra gli altri fanciulli, anche la piccola Rain precipita dalla nave colpita e si separa dai due cugini, per sempre, in ogni senso. Le loro strade si divideranno e il gioco dei ribaltamenti porterà a risultati del tutto sorprendenti, come si vedrà. L'ultima "inquadratura" della scena mostra i due ragazzini —occhi sbarrati, in lacrime, denti stretti— guardare lo squarcio dove prima c'era la piccola, mentre il vecchio Torr dice, con ironia tragica: "Siamo salvi". Salvi noi, sì, morti gli altri. Altra forte, viscerale suggestione che filtra fra le pagine della serie: il destino ha molti sentieri inspiegati, qualcuno cade, qualcuno prosegue; nessuno, tuttavia, è immune dal dolore.

     Dopo un atterraggio di fortuna, i nostri si fanno strada nelle antiche foreste vergini del pianeta per unirsi alle armate Jedi di Lord Hoth e nel tragitto fronteggiano un'altra serie di orrori; non si tratta di mostri orribili, bensì di normali esseri corrotti dal male, il che è decisamente meno rassicurante, perché ci ricorda (come fa Lucas in Ep2 con Anakin) che tutti noi possiamo cadere. Tutti. In un assalto di scagnozzi dei Sith, Tomcat trapassa una figura ammantata di nero, per poi scoprire con sgomento che si trattava di una giovane ragazza. Non si può dire chi possa cadere nel Lato Oscuro, dice Torr Snapit con un piglio degno di Gandalf: "Non tutti i servitori dei Sith sono mostri, non tutti quelli che stanno dalla nostra parte sono eroi". Quello che emerge da questa storia è un affresco perfettamente realistico della guerra; perfettamente sincero.
     Il vecchio usa il poco tempo che gli è concesso per dispensare anche altri, splendidi consigli da maestro Jedi… e che Jedi! Gli autori dimostrano di saper creare personaggi autentici, che sanno una volta tanto uscire dai cliché rigidamente codificati di un certo Expanded Universe di maniera. Torr è un anziano maestro serio, un po' burbero, che sorprende il piccolo e idealista Tomcat rivelando di non amare la spada laser. "Non è la spada laser a fare di me un Jedi. La uso solo se non posso farne a meno". Un intero mondo di storie leggendarie e di retoriche idealizzazioni crolla. "Che razza di Jedi sei?" gli chiede Tomcat. "Non sono un Jedi perché amo sentire il rumore della spada laser, né perché mi piaccia essere un Jedi. Sono un Jedi perché la galassia ha bisogno di Jedi".
     Una frase degna di miglior sorte rispetto a quella che tocca a un fumetto di nicchia. Procedendo in Jedi vs Sith viene a più riprese da pensare che la serie meriterebbe di andare in scena.

     L'Unico Lord

     Giunge a Ruusan Lord Darth Bane, al quale spetterà di superare la condizione di relativa debolezza dei Sith del suo tempo per dare vita a una nuova, più efficace dottrina del Male. Bane trova un campo di battaglia desolante, ricoperto di mediocri Sith morenti che si illudevano di annientare i Jedi con la loro debole percezione del Lato Oscuro. Uno di loro, sciocco, chiede l'aiuto di Bane, "da Lord a Lord": "Siamo forse diventati tutti Lord, adesso?" replica Bane schiacciando la testa del collega sotto lo stivale. Una scena da antologia, inutile farlo rilevare.
     È proprio il Signore Oscuro a giganteggiare in questa serie grazie alla sapiente commistione di puro male e di sopraffina saggezza che lo contraddistingue. Bane è maledettamente intelligente. Assiste al briefing del leader della Confraternita dell'Oscurità, Lord Kaan, e lo sfida contestando la sua ignavia, la sua mediocrità da stratega da quattro soldi. E ne loda l'unica azione coraggiosa, il tentativo fallito di avvelenarlo: "Non discolparti per l'unica azione coraggiosa della tua vita, Kaan. Ti ammiro per essa".
     Basta con le manovre militari. I Sith devono agire da Sith, devono pensare da Sith: "Guarda la mappa e pensa da Sith. Non combattere nella foresta: distruggi la foresta!".


Darth Bane

     Darth Bane espone poi alla sua oscura amante, Lord Githany, in una suggestiva scena notturna sull'accampamento Sith, il suo progetto, la sua visione: smettere di far illanguidire il Lato Oscuro, disperso in un numero troppo grande di sedicenti Sith; esso dovrà piuttosto concentrarsi in un solo, potentissimo Dark Lord. O due, suggerisce la donna. Sì, due: un maestro e un apprendista. E così sarà sempre, fino a quando Darth Sidious e Darth Maul usciranno dall'ombra, fino all'epoca del Prescelto…

     Nel frattempo Torr Snapit cade sacrificandosi per permettere ai giovani eroi la fuga su un ponte di liane — questo sì, un insieme di cliché che va da Gandalf all'Obi-Wan di A New Hope, contaminato col modello dei ponti alla Tempio Maledetto (e imitatori vari); è indubbio. Tuttavia la scena in cui Tomcat scende la scarpata per strappare al maestro agonizzante la spada laser che non gli serve più —e che in realtà gli era sempre servita poco— ci riporta in pieno al tono tenebroso della storia, mostrandoci un giovane presuntuoso che crede di sapere cosa un Jedi debba essere, e che quell'ideale di perfezione possa essere incarnato proprio da lui, meglio di chiunque altro. In qualche modo una variazione sul tema del modello esplicito: Anakin.

     Ci sono tante, innumerevoli pagine che meriterebbero di essere analizzate a fondo. Il tocco umano di alcune scene non può passare inosservato, specie nel confronto con certe piattezze dell'EU degli anni scorsi. Gli scambi di confidenze sul passato, sui sogni, sui dolori, tra Lord Hoth e Pernicar —figlio di uno scriba e che scriba avrebbe voluto essere, anziché Jedi— alla luce delle torce nell'accampamento, ci riporta alla mente i dialoghi de Il Gladiatore di Ridley Scott, del quale riprende chiaramente l'atmosfera e al quale tributa —non soltanto qui— un meritato omaggio.
     Accanto a chi Jedi lo è controvoglia, come Torr Snapit e Pernicar, eppure fa il suo dovere con coraggio, fino al sacrificio, troviamo chi Jedi vuole esserlo a ogni costo e giudica gli altri dei poveri pezzenti: Tomcat pensa di appartenere a una casta privilegiata, idealizza i Jedi al punto da rifiutarsi di riconoscere come tali quelli che ha davanti, veri, autentici, con i loro umanissimi limiti. Sarà questa incapacità di accettare la realtà a condurlo sulla strada sbagliata.
     C'è ancora idealismo in lui quando, rifiutatosi di occuparsi delle cucine, riesce a farsi assegnare all'unità del brillante Generale Kiel Charny: è indotto a pensare per l'ultima volta che ci sia davvero qualche Jedi degno delle canzoni di gesta con cui è cresciuto. Bacia la spada laser recitando, come gli altri, la formula "Non c'è odio in me, combatto perché devo". Inutile, il sentiero oscuro sta per essere imboccato. La morte del primo Sith che uccide in battaglia con le sue mani gli dipinge sul viso una malvagia soddisfazione; e a poco serve che continui a ostentare pie professioni di pacifismo interiore. Il sangue comincia a inebriarlo. Come Davide con Golia si trova a fronteggiare un immenso Dark Lord reminiscente del Terminator in esoscheletro privo di rivestimento.
     Ma non è un Lord: i veri Signori dei Sith sono altrove, a condividere il Lato Oscuro per combattere "come un sol uomo", per dirla ancora come ne Il Gladiatore. Darth Bane tenta di far dimenticare ai Lord le divisioni e le ambizioni personali; se stessi, la propria identità. Per diventare uno col Lato Oscuro e annientare i Jedi.

     Intanto la piccola Rain non è morta e vive nelle foreste di Ruusan insieme ai bouncers, sagge creature volanti in simbiosi con il mondo vegetale che sembrano essere la (visionaria e riuscitissima) materializzazione dei sogni. Laa, in particolare, teme per il destino del suo mondo (verso il quale Darth Bane sembra piuttosto accanito) e fa trapelare l'ennesimo, forte messaggio: i sogni oscuri possono uccidere i deboli. La paura attrae i paurosi, diremmo col Darth Maul del tone poem di Episode I. E sarà questo il destino tragico di molti personaggi in Jedi vs Sith, quello di lasciarsi sopraffare dal male, dalla disperazione, arrendendosi anzitempo.

     La malvagità dei Sith riuniti nel loro sabba infernale si ipostatizza in un'onda di fuoco che divora le foreste di Ruusan, spazzando via tutti i combattenti. Ma Lord Kaan si sottrae, spezza la "catena" e vuole finire i Jedi corpo a corpo, secondo la sua mentalità poco Sith e molto militare. Un altro Sith, un Twi'lek, Kopecz, rivela a Bane che in verità egli spaventa gli altri Signori Oscuri, che si sono sentiti prosciugare e assorbire nel suo tentativo di fusione nel Lato Oscuro. Essi non sono pronti alla grandezza, a realizzare la visione di colui che vuole concentrare il potere oscuro per renderlo più splendente della luce — non per una miserabile ambizione personale. Le piccole, mediocri identità dei Sith li condannano a essere nient'altro che dei poveri stolti.
     Il sogno che vincerà sarà quello di Bane.

     Questo male contagia. Tomcat si risolleva tra la cenere di Ruusan e vede i suoi sogni infranti: i Jedi non possono morire così, sono gli eroi splendenti delle ballate, non muoiono così miseramente, bruciati e soffocati: non può essere! A nulla serve la saggezza di Charny come degli altri Jedi veri, sofferenti, deboli, ma sempre determinati al sacrificio e persino ad aiutare con compassione i sopravvissuti tra i nemici. Tomcat vuole la perfezione e insegue gesta ideali e vuote di umanità (altro insegnamento contenuto in questa storia: attenzione al volto fascinoso e bugiardo degli ideali fini a se stessi!). Le gesta autentiche sono già davanti ai suoi occhi: ad esempio Charny che —come ultima speranza— tenta di deflettere i colpi delle swoop bike Sith con la spada laser, pur sapendo di non esserne capace; ma il piccolo non sa vedere queste gesta. La verità gli è preclusa. Quando la perversa Githany riemerge a sorpresa dai resti dello scontro, determinata ad affrontare in duello lo stesso Kiel Charny, l'uomo che l'aveva amata e aveva cercato di salvarla dal Lato Oscuro, Tomcat vede in lei la falsa grandezza del male e si lascia definitivamente stregare dai proclami sulla superiorità del Lato Oscuro. Prende la spada laser caduta dalla mano mozza di Charny e lo finisce a sangue freddo, unendosi a Githany, che lo porta nella Confraternita dell'Oscurità.
     Le canzoni di gesta si sbagliavano, è la conclusione di Tomcat: non sono i Jedi quelli che devono essere celebrati…

     Brividi

     Per Bug, il piccolo Han Solo della situazione, concreto, leale, umano, ben lontano dalle idealizzazioni fanatiche di Tomcat, è una tragedia scoprire che suo cugino, il cui unico desiderio era essere un Jedi, è passato al nemico, ai Sith; e in un modo tanto orrendo.
    E il male contagia. Ancora. Il ragazzino che riferisce a Bug l'accaduto rimane a sua volta affascinato dal gesto oscuro di Tomcat: "Ha ucciso Charny con la sua stessa spada, a sangue freddo davanti a tutti! Che ballata se ne potrebbe scrivere!", dice mentre Bug trema di orrore. Gli autori danno la sensazione di saper tenere in pugno la storia senza mai perdere un colpo e dimostrano che non c'è una battuta messa a caso per riempire i buchi. Un brivido.
     E, voltata pagina, un altro brivido. Laa, il saggio bouncer che protegge la piccola Rain, ne sogna il futuro, ed è un futuro profondamente oscuro: quello di un potente Sith. Sconcertante, vista l'immagine quasi angelica della bambina; ma del resto abbiamo l'esempio lampante di un certo Anakin Skywalker… "But all you dreams come true, don't they?" dice non a caso Rain, con un altro richiamo esplicito ai tone poems televisivi di Episodio I, in questo caso proprio quello di Anakin. La piccola inizia allora a disperarsi perché sa che i sogni di Laa si avverano sempre, come per la distruzione della foresta; ed in qualche modo il sogno finisce per determinare la realtà. Ma non morirà, le dice l'essere: sopravvivrà e sarà un Dark Lord.
     Presto segue un altro brivido, più terribile dei primi, quasi intollerabile: la bambina tenta il suicidio per evitare di far avverare il suo futuro, gettandosi da un dirupo. Ma grazie alla Forza, finalmente svegliatasi in lei con grande potenza, si tiene sospesa: decide di poter essere più forte di un sogno oscuro. Solo un'illusione passeggera, purtroppo.
     Se c'è un rimprovero che non si può muovere a questa miniserie è di avere un tono leggero e vuoto; al contrario, a tratti è difficile proseguire nella lettura.

     La storia prosegue con la vicenda del riavvicinamento, nell'esercito Jedi, tra l'eccentrico Lord Farfalla, biondo, ricoperto d'oro, apparentemente sciocco, e il vecchio Lord Hoth, che lo rimproverava di badare solo ai suoi abiti e gioielli mentre i veri Jedi, misurati e continenti, morivano sul campo. Ma le cose non stanno così: nonostante l'apparenza da dandy, a Farfalla (Jedi del tutto inedito e anticonvenzionale) non manca il coraggio.
     Questa riappacificazione è necessaria perché i Sith di Lord Kaan, ormai disperati, preparano qualcosa di devastante: una "bomba di pensiero". La lezione di Darth Bane è stata imparata, ma solo in parte. L'arma fatta di Forza distruggerà non solo i Jedi, ma anche i deboli Sith di Kaan.

     Quando Rain giunge al campo di battaglia in groppa a Laa, uno dei leader dei Jedi trafigge l'essere volante, temendo che porti il panico nelle sue file: dal giorno della distruzione della foresta, infatti, i bouncers volavano impazziti e in lacrime. La bambina, che aveva trovato in quell'essere il suo migliore amico, per poco non muore di dolore. Come spesso accade, la morte non accettata spinge verso la vendetta e il Lato Oscuro (ne avremo presto un saggio in Episode II…). Quando si volta si è trasformata, nei suoi occhi arde l'odio fattivo, operante, quello di una Forza che ha già assunto l'aspetto del male. Il responsabile del gesto e un suo compagno Jedi si accasciano con le ossa spezzate dalla volontà di vendetta della piccola Rain. E su di lei, in quel momento, si proietta un'ombra possente: è Darth Bane.

     Intanto la tragedia tocca anche Bug e Tomcat, che si ritrovano faccia a faccia, sfidandosi a duello, mentre ha inizio l'ultima delle sette battaglie di Ruusan.
     Mutilato da Githany, il nobile Bug ha il tempo di rendere esplicita a Tomcat la lezione che non ha saputo imparare: è vero, i Jedi non erano così coraggiosi e così perfetti, tuttavia la purezza della loro causa li rendeva nobili, rendeva lui stesso nobile. Muore orribilmente quando la bomba di pensiero scatenata da Lord Kaan risucchia la Forza (e la vita) da tutti i Jedi e i Sith, lui compreso; ma non da Tomcat.
     Già provato duramente nella sua breve adesione ai Sith, il ragazzino crede di potersi aggrappare a un barlume di luce e di gioia quando ritrova la cugina creduta morta per settimane. In realtà è l'ironia tragica a farla da padrona ancora una volta, perché la bambina che ha davanti è ormai una creatura triste e rassegnata, arresasi al male dentro di lei e al Signore Oscuro che la domina, e che la sovrasta: Darth Bane. Quando Tomcat impugna la propria spada laser per affrontare Bane è la stessa bambina a far esplodere col pensiero la mano del cugino, per impedirgli di andare incontro a morte certa in un duello assurdo. La sua uccisione non sarebbe stata né vantaggiosa né piacevole: meglio che, mutilato, se ne vada per la sua strada.
     Darth Bane tiene a battesimo la prima apprendista e, dinanzi al fallimento della Confraternita dell'Oscurità di Lord Kaan, inaugura una tradizione segreta che durerà un millennio. Saranno solo due, un maestro e un apprendista.


Darth Bane

     Un duo destinato a segnare la storia dei Sith: l'ultimo Dark Lord sopravvissuto, Darth Bane, e una piccola allieva Sith, Zannah, soprannominata Rain e destinata a ricevere un ulteriore nome, del tutto nuovo, segno del suo abbracciare il Lato Oscuro assumendo una nuova identità; un nome del quale sappiamo solo che sarà preceduto dal prefisso Darth. Gli altri, i Sith di Kaan, non capivano la vera natura del Lato Oscuro, non sapevano uscire da una prospettiva egoistica e meschina. "E tu capisci il Lato Oscuro?" chiede Bane alla bambina. "No —risponde lei— Ma sono ancora giovane…"
     Agghiacciante.

     C'è ancora tempo per un tocco di classe nell'Epilogo, malinconico ma anche colmo di speranza per il futuro.
     Tomcat, mutilato nell'animo e nel corpo, redento ma per sempre lontano dalla purezza, vaga in quel deserto di cenere che era stato il verdeggiante Ruusan prima dello scontro tra Jedi e Sith. Ha fallito come Jedi, poi ha fallito come Sith. Cosa può sperare di diventare?
     Un uomo.
     Sì, un uomo. Perché no? Lui che aveva inseguito ideali di eroica perfezione scopre alla fine —troppo tardi— che il suo destino era una onesta, mediocre normalità…

     Jedi vs Sith è degno di stare alla pari con quelli che io ho considerato fino ad oggi i prodotti più riusciti dell'Expanded Universe, vale a dire la saga di Tales of the Jedi, una vera saga nella saga, un pezzo a sé stante del grande, sterminato ciclo di Star Wars. Sarà un caso che questo fumetto condivida con Tales l'ambientazione arcaica, in un universo al tempo stesso familiare e innovativo?
     Ma forse non è azzardato dire che questa miniserie sia a tutt'oggi il fumetto migliore in assoluto, anche per il coraggio che gli autori hanno adoperato nelle loro scelte di narrazione e di stile.

     Il fumetto dei nostri sogni, o quasi

     Difetti? Sì, certo. Non voglio dare l'impressione che questo sia solo un panegirico.
     Le riserve sono di carattere estetico, di concept design, che ha alcune cadute di tono piuttosto dolorose.
     Essendo la serie ambientata solo 1000 anni prima di ANH, il confronto sia con la tecnologia e il design dei film sia con quelli della saga di Tales of the Jedi porta a qualche incongruenza di troppo.
     Una camionetta con ruote (forse possibile, su qualche pianeta remoto in un'epoca arcaica?), un uomo aquila usato come messaggero (ma non esiste l'Holonet da millenni?) archi e frecce in puro stile Legolas (accanto ai cannoni laser e alle lightsaber? così non si ottiene un universo senza tempo ma un semplice minestrone), un improbabile galeone ricalcato in ogni dettaglio su un galeone secentesco con adattamenti forzati, come le vele convertite in pannelli solari, con tanto di carena e persino le finestrelle per i cannoni sui fianchi della "nave"… Francamente sopra le righe.
     Forse se la data fosse stata 10.000 anni prima di Star Wars, o meglio 100.000… abolendo le spade laser e mettendo in mano ai Jedi lame di ferro, la trasformazione completa in fantasy di questa serie avrebbe avuto più senso e più coerenza di stile. Così sembra un mondo incredibilmente più antico di Tales of the Jedi, mentre è relativamente vicino ai tempi dello Star Wars che tutti conosciamo.
     Nel bene e nel male (stavolta soprattutto nel bene, fortunatamente) è l'ennesima dimostrazione del fatto che la tanto decantata continuity non è affatto seguita con cura, non c'è un controllo qualitativo serio che armonizzi tra loro le produzioni targate SW: tutto è affidato alla sensibilità e al gusto dei singoli autori (i supervisori dormono??).
     Poco ortodossi anche i continui riferimenti ad animali terrestri non filtrati secondo lo stile starwarsiano: uomini capro, uomini aquila, l'accenno a un toro, al sangue equino, i pipistrelli nella caverna, le fattezze da squalo dei caccia Sith visti all'inizio, l'unicorno che fa da polena del galeone del condottiero-capro; per non parlare del nome del medesimo: Lord Farfalla… Da questo punto di vista siamo nettamente fuori dallo stile lucasiano, che conserva sempre intatta l'illusione di una galassia "altra", familiare ma comunque aliena.

     Beninteso, il concept design ha anche spunti convincenti, e gli stessi accampamenti e corazze ispirati alla romanità antica e barbarica sono sicuramente efficaci (ancora una volta debitori de Il Gladiatore), se solo si fosse inserito qualche tocco tecnologico a la Star Wars oltre alle spade laser in sé (avulse dal resto) e a pochi mezzi volanti. Basta aggiungere un proiettore holo in mezzo alla tenda militare e il gioco è fatto, il feeling giusto viene recuperato.

     Ma sono inezie. È la storia ad avvincere. Essa ha una forza interna tale da rendere marginali elementi che, in presenza di una trama mediocre, avrebbero affossato del tutto la serie lasciandola cadere nell'oblio come tante altre, senza rimpianti.
     La sua forza è quella di una storia seria, vera, cruda, forte, avvincente, sincera e terribilmente spiazzante anche per vecchi Sith smaliziati. L'innocenza infantile va a cozzare contro l'orrore cieco della guerra e i bambini sono ora spettatori ora fautori del male. Sono uomini in miniatura, disillusi, spietati, maturati troppo in fretta; già in grado di scegliere il loro destino, con una sicurezza che lascia attoniti, eppure perfettamente credibile. Inutile sperare di tenerli lontani dalla guerra, dal male: sono più maturi di quanto pensiamo e hanno il diritto di conoscere il mondo per operare le loro scelte. Hanno il diritto di sapere, anche perché il mondo appartiene a loro.
     Una lezione importante, dunque, specie per chi, in questi tempi di tensione e attentati epocali alla nostra sicurezza, si illude di poter tutelare i bambini edulcorando ogni cosa sia loro destinata, inzuccherando il mondo e rendendolo un dolciume fasullo e nauseabondo; mi riferisco ad esempio a Steven Spielberg e alla sua scelta ottusa di addomesticare —al limite del patetico— ogni minimo spunto violento di E.T. in occasione della riedizione-tradimento di prossima uscita.

     L'immagine di Darth Bane che si allontana con una piccola e innocente bambina dai capelli d'angelo —che sembra un putto staccato da un affresco rinascimentale— scelta come sua apprendista Sith è al tempo stesso disturbante e affascinante. Il male non ha scrupoli e non si ferma alle apparenze: chi deridesse quella scena come bislacca trovata del solito improbabile fumetto di Star Wars non ne comprenderebbe la potenza provocatoria…
     Quanto tempo credete che passerà prima che in Israele dopo le donne-bomba si inizino a usare anche i bambini-bomba?







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